Ed eccomi, con il fiato grosso e la neve fin dentro alla camicia, arrivato alla "Locanda dell'Inverno" di Shangri-La.
Dopo tanto peregrinare, ho finalmente trovato la città che tutti dicono di conoscere, di cui pochi testimonierebbero l'esistenza, e di cui ancora meno giurano e spergiurano di esserci stati. Pochi e inaffidabili, questi ultimi di solito sono vecchi sherpa dediti oramai al solo alcol. Da quando passano gli europei e gli americani, poi, con tutte quelle varietà di grappe, whiskey e liquori, la situazione non è che peggiorata.
Fatto sta che Io sono qui, che ci crediate o meno.
L'albergatore è un tipo gentile, con i lineamenti asiatici induriti dal freddo e le rughe tagliate letteralmente in faccia dal vento delle vette Himalayane. Mi dice che hanno disponibilità, e io richiedo la stanza più comfortevole possibile.
"Come dice scusi?"
"Più comfortevole, più comoda. Credo che mi tratterrò qui a lungo"
"Allora non posso che darle la 251, è molto grande e accogliente, sa?"
"Vada per la 251".
L'albergatore si gira in cerca delle chiavi, svelando la parte posteriore della sua canuta testa coperta per la quasi totalità da un folto colbacco di yak.
"Posso chiederle il motivo per il quale crede che si tratterrà a lungo? Vuole scalare qualche vetta?"
"No, per nulla. Ho bisogno di un posto tranquillo; è che avevo voglia di cambiare, magari qui mi sentirò più libero nello scrivere"
Il vecchio sembra avere un'illuminazione: "Ah, quindi lei è uno scrittore!".
I suoi entusiasmi però si spensero in un baleno.
"No, scrivo solo per il piacere di farlo, è che là, dove scrivevo abitualmente prima, non mi trovavo più così bene come all'inizio".
"Oh, capisco. Spero comunque che si possa trovare bene nella mia Locanda e, in generale, qui a Shangri-La. Da qui si vede tutto il mondo, quindi potrebbe trovare facilmente ispirazione per il Suo diletto".
"Lo spero vivamente" dissi con un sorriso, e voltandomi salii le scale e percorsi corridoi fino alla stanza assegnatami.
Dopo aver girato la chiave nella toppa, dischiusi lentamente la porta.
La 251 era indubbiamente una bella stanza, paragonabile però ad un blocco di creta, informe e senz'anima.
Un blocco da modellare, plasmare, rendere personale.
"Penso che qui mi troverò bene".
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