domenica 28 marzo 2010

The Hurt Locker


Potessi prendermi il gusto di descrivere un film in massimo dieci parole, per questa pellicola ne userei al massimo due: una è "mendace", l'altra ha a che fare con espletazioni del corpo umano che non starò a specificare...

Fresco trionfatore della notte degli Oscar con ben sei statuette vinte, The Hurt Locker racconta in uno stile quasi documentaristico (quindi con ben poche spettacolarizzazioni, cosa ottima per un film di guerra) gli ultimi 39 giorni di turno in Iraq di un artificiere, tra bombe da disinnescare, attentatori fanatici e momenti "privati" lontani dalla tensione della guerra.

Fin qui tutto molto bello, e fin qui il film di Kathryn Bigelow soddisfa le attese: anche dal lato tecnico, la regia è consona alla natura del progetto, le musiche non sono mai invasive, la trama seppur ripetitiva va avanti bene (e trasmette a tratti una certa qual sensazione di tensione) e il tutto trasmette una netta sensazione di "realtà", un pò come i reportage giornalistici di Current.

I problemi però stanno altrove. Personalmente ho trovato il personaggio di James fin troppo stereotipato: il classico Yankee coraggioso e spavaldo al limite della stupidità (la scena del disinnesco dell'autobomba è altamente esplicativa di ciò che intendo dire), capace di ardue imprese e al contempo gentile e aperto al dialogo con la diffidente e ostile popolazione iraquena. Manca solo che pianti la bandiera a stelle e strisce al suolo dopo ogni azione per essere l'emblema del patriota americano medio. Sicuramente è questa l'immagine che vogliono dare (e avere) di sè gli statunitensi, portatori di pace e concordia tra le nazioni (Abu Grahib dice niente?). Già questo potrebbe bastare per non far piacere il film a chi non vive a base di hamburger e patatine, ma ad aggravare ulteriormente la stiuazione ci si mettono i dialoghi tra i personaggi: banali, spesso fuori luogo (soldati che nel bel mezzo di un disinnesco parlano di marijuana?!) e che chiaramente mirano a invogliare l'arruolamento con frasi del tipo "Sai, la vita nell'esercito è una grande esperienza, a tratti divertente". Semplicemente becero e disgustoso.

Per me questo film ha clamorosamente toppato. Tanto ammirevole per quanto concerne l'aspetto visivo e il pathos, quanto demoralizzante per tutto il resto. La pioggia di Oscar (assolumente immeritati quelli per "Miglior Film" e "Miglior Sceneggiatura") sono palesi testimoni di un concetto: Un film fatto da americani, sugli americani e per gli americani, i quali amano vedersi come James l'artificiere.

[4,0]

venerdì 5 marzo 2010

The Darwin Awards - Suicidi Accidentali Per Menti Poco Evolute


Tra i tanti premi e riconoscimenti che a cadenza annuale vengono conferiti a vari esponenti delle più disparate discipline, uno ha un non so chè di atipico, tragico e al contempo ironico. Sto parlando del Darwin Award, trofeo che una commissione costituita ad hoc distribuisce agli esseri umani che hanno sofferto morti particolarmente strambe e demenziali. Stando alla Dichiarazione costitutiva del Premio, in questo modo le sfortunate (e a volte letteralmente imbecilli) vittime hanno contribuito all'evoluzione e al miglioramento del pool genetico Umano "rimuovendosi da esso in modo spettacolarmente stupido", e proprio per questa magnanima azione vedono reso immortale il proprio nome.

Questo Award è diventato lo spunto per un film del 2006 di Finn Taylor e che annovera nel cast due famosi attori come Winona Ryder (Edward Mani di Forbice, A Scanner Darkly) e Joseph Fiennes (Shakespeare in Love) e può vantare un cameo del grande poeta beat Lawrence Ferlinghetti. La pellicola racconta di uno stralunato poliziotto ossessionato dai profili psicologici dei vincitori dell'Award e di una agente d'assicurazioni che girano l'America al fine di trovare una strategia assicurativa per evitare di garantire la copertura economica alle "menti poco evolute" o che danno segni di possibile suicidio accidentale. Il duo è poi seguito da un terzo personaggio chiamato "La Sanguisuga" che, con la scusa di una tesi, telecamera alla mano filma ogni minuto dell'avventura "On The Road" della coppia, rimanendo in tutte le situazioni pressochè imparziale. Quella della Sanguisuga può essere considerata una "Seconda regia" complementare a quella classica, che contribuisce a rendere più indie il modus narrandi del film.
Nel film vengono presentati anche alcuni "vincitori storici" del Darwin Award (tutti avranno sentito parlare del tizio che, per testare la forza dei vetri del suo ufficio, ci si è gettato contro attraversando però la finestra aperta) che non mancano di divertire e dar sprint alla vicenda già di per sè molto frizzante.

Nulla da segnalare come particolarmente ispirato, ad eccezione del personaggio di Joseph Fiennes, una sorta di Sherlock Holmes imbranato e spaurito che, attrato com'è dai casi umani del Darwin Award, finisce quasi per essere al loro livello, ovviamente provocando risate e situazioni paradossali.

Personalmente, devo dire che per me il film è stata una piacevolissima sorpresa, al pari del Meet Bill di cui parlai qualche mese fa. Anche in questo caso, nulla eleva il film allo stato di capolavoro, ma siamo nella situazione in cui il risultato e superiore alla somma delle sue parti: tutto potrebbe apparire molto scontato, ma visti nell'insieme i vari elementi che compongono il film sono capaci di divertire e appassionare lo spettatore. Ad impreziosire il lungometraggio sono poi da annoverare i vari camei, tra cui il già citato Ferlinghetti, Juliette Lewis, i Metallica e lo sfortunato Chris Penn.

Se volete passare 93 minuti in spensieratezza con un film capace di divertire fino alla lacrime e un'atmosfera perennemente in bilico tra assurdità e realtà, The Darwin Awards fa senza dubbio al caso vostro.

[7,5]

giovedì 4 marzo 2010

Heavy Rain


In molte culture, la stagione delle piogge è un momento quasi sacro, un periodo in cui la natura impone una pausa a molte attività umane, recando con sè non solo un carico di nostalgia o malinconia, ma anche una temporanea sensazione di pace.

Tutto questo non accade nel mondo di Heavy Rain, mondo in cui le piogge autunnali diventano lo scenario di una serie di sconcertanti omicidi di bambini. Lasciati affogare nell'acqua piovana, i piccoli vengono poi fatti ritrovare con un'orchidea sul petto e un origami nelle mani. Questo particolare ha portato i media a chiamare lo squilibrato assassino seriale Origami Killer. Su questo sfondo si muovono i quattro personaggi protagonisti: un padre (Ethan Mars) intento a ingaggiare un perverso gioco con l'Assassino dell'origami per salvare Shaun, suo figlio; una giornalista (Madison Paige) coinvolta suo malgrado nelle indagini; un agente dell' FBI (Norman Jayden) e un detective privato (Scott Shelby) impegnati nelle indagini seguendo piste separate. Ma nulla è quello che sembra nella città in cui si snoda la vicenda, e l'assassino potrebbe essere più vicino di quanto sembri...

Nato dalla penna di David Cage e sviluppato dalla Francese Quantic Dream, Heavy Rain fa del libero arbitrio il suo asso nella manica: stando alle volontà degli sviluppatori, ogni decisione e ogni azione compiuta dal giocatore nell'arco delle circa dieci ore di gioco dovrebbe incidere sullo svolgersi degli eventi, tanto che la vicenda potrebbe concludersi in più modi differenti. Il che realmente avviene, sebbene a volte i destini dei protagonisti potrebbero apparire in contraddizione e poco coerenti. Elemento che comunque non inficia più di tanto la trama, che per pressochè tutta la durata dell'avventura si dimostra di ottimo livello, scivolando solo all'ultimo momento, ossia quando si scopre l'identità del Killer, palesando il fatto che per tutto il tempo trascorso davanti al televisore il gioco si è preso bellamente gioco (scusate il gioco di parole) dell'utente, ingannandolo e non dando nemmeno un motivo per sospettare del soggetto.

Parlando di gameplay, si va a toccare il punto più controverso e criticabile del software: il sistema di gioco si basa essenzialmente sull'uso intensivo di Quick Time Events, ovverosia una serie di tasti da pigiare (o gesti da compiere scuotendo il controller) nella giusta sequenza o nel momento migliore. TUTTO ciò che si fa in Heavy Rain lo si fa usando questo espediente. Fortunatamente, il susseguirsi degli eventi e i sentimenti provati mentre si gioca questo dramma interattivo annuillano la possibile tediosità del sistema, che anzi in molte occasioni si rivela essenziale per trasmettere adrenalina, agitazione o catturare l'attenzione dell'utente. Il risultato finale è più che positivo, sebbene molti eventi siano chiari riempitivi inutili ai fini del gioco. Un particolare che invece non mi è andato giù è il movimento dei personaggi: per muoversi bisogna premere il secondo dorsale destro e lo stick di destra. La complessità è dovuta al fatto che, come in un film, la telecamera cambia spesso e senza un "doppio tasto" i movimenti sarebbero stati molto più ostici e snervanti di quanto già non siano. Capita a volte che i personaggi su schermo vadano un pò per gli affari loro, o comunque non rispettino gli input del giocatore. Grazie a Dio, anche in questo caso il difetto non incide gravemente sull'esperienza.

Parlando dell'aspetto sonoro e tecnico, invece, non si può far altro che omaggiare il lavoro dei transalpini: la colonna sonora, seppur piuttosto manierista e ancora agli stilemi delle musiche "da thriller", è d'atmosfera e ben implementata; Parlando invece del versante grafico, Heavy Rain propone una delle grafiche migliori mai viste sinora su PlayStation 3, concentrando i suoi punti di forza in particolar modo sull'espressività dei volti (alcune espressioni facciali sono, diciamo così, interpretabili, ma la stragrande maggioranza di esse sono incredibilmente realistiche e ottimamente realizzate) ma lasciando a desiderare su alcuni aspetti di contorno, come le automobili o gli abiti.

Concludendo, si può solo dire che il gioco in questione è veramente un'esperienza ludico-visiva poco comune al giorno d'oggi, figlia ma al contempo evoluzione del genere delle avventure grafiche che vissero i loro giorni di gloria nei primi anni '90. Se volete vivere un'esperienza emotivamente immersiva, capace di trasmettere stati d'animo finora a quasi esclusivo appannaggio di libri e film, e sapete chiudere un occhio sui piccoli nei (grafici, ludici e narrativi) che sono disseminati qua è là, Heavy Rain vi conquisterà e vi aiuterà a rispondere alla domanda: Quanto lontano sei disposto ad andare per salvare qualcuno che ami?



[9,0]

10000 A.C.


Un film sulla preistoria: un'impresa tanto affascinante quanto difficile, sia per la difficoltà di riproporre un setting così risalente nel tempo, sia per le effettive poche conoscenze che si hanno sulle popolazioni primitive.
Terrence Malick abbandonò il progetto che aveva iniziato con "Q" proprio per questi motivi.
Roland Emmerich invece va fino in fondo nell'impresa e, forte delle tecnologie moderne, temporaneamente abbandona il filone dei disaster movies che l'hanno reso celebre si dedica a 10000 A.C..

L'idea di fondo potrebbe essere fantastica: ricostruire la vita di quasi dieci millenni fa, magari concentrandosi sulla vita quotidiana, approfondire le loro conoscenze in campo tecnico e le le loro credenze religiose. Potrebbe uscirne un capolavoro. Potrebbe, visto che il film di Emmerich tutto appare fuorchè fedele riproposizione (o almeno fedele "ambientamento") della vita umana ai suoi arbori.

Tanto per cominciare, i personaggi sembrano tutti troppo Pop, vestiti di pelli conciate e abbinate e con capelli più vicini alle capigliature afro-giamaicane di oggi che non alle ipotizzabili chiome irte degli antenati. Inoltre, non fosse per qualche mammuth o qualche tigre dai denti a sciabola e qualche raro riferimento a una non meglio precisata credenza panteista, la pellicola nemmeno sembrerebbe ambientata nell'età della pietra: un difetto particolarmente grave per un film che dovrebbe fare del setting e della cura per i dettagli storici il suo punto di forza.

A livelli di trama siamo alle solite: storia d'amore scontata con la Bella di turno rapita dai servi di un Dio malvagio e il giovane costretto a diventare eroe suo malgrado per salvare la sua amata. Il brutto è che è tutto fin troppo scontato e telefonato per coinvolgere minimamente lo spettatore.Nemmeno le tante citazioni rivolte ad altri film come Il Signore Degli Anelli salvano la baracca. Altro difetto grave.

Personalmente mi sento di salvare solo l'aspetto tecnico, composto da effetti speciali credibili e creature animate in modo certosino. Null'altro da segnalare, se non che si trova davanti a una grossa occasione sprecata. Sia per il pubblico che per Emmerich.

[5,0]

No More Heroes


Per i più il suo nome sarà totalmente anonimo, ma Goichi Suda nel mondo dell'entertainment videoludico è un personaggio molto discusso. C'è chi (come il sottoscritto) lo considera un genio, chi un ciarlatano, chi semplicemente un buon mestierante. Game designer poliedrico e non convenzionale, riuscì a stupire il mondo prima con il controverso Killer 7, e poi con un gioco solo in apparenza più classico come Contact. La fama però arrivo con No More Heroes, uscito nel 2008 per Nintendo Wii e di cui è in arrivo, oltre che una riedizione per console HD, un seguito dal sottotitolo Desperate Struggle.

Ispirato al film cileno degli anni Settanta El Topo, Il gioco ci mette nei panni di Travis Touchdown, un otaku di Santa Destroy, città immaginaria della costa Ovest degli Stati Uniti, che in seguito all'acquisto di una katana laser su Ebay (!) -con susseguente relativa mancanza di denaro- e all'incontro con la seducente Sylvia Christel si troverà coinvolto in una scalata al trono di Assassino numero Uno al mondo. Per raggiungere il tanto agognato traguardo, Travis dovrà uccidere i primi 10 assassini di un apposito ranking redatto dalla UAA (United Assassins Association).

Oltre alla trama delirante e trash al punto giusto, altri due sono i punti forti dell'esperienza ludica: il gameplay e l'atmosfera che permea il prodotto. Partendo da quest'ultima, si potrebbe dire che non c'è altro modo di definirla se non "punk": tutto il gioco, dalla grafica ai dialoghi, sembra essere un prodotto grezzo e rabbioso ma dotato di una indubbia personalità e di cura di fondo. So che potrebbe apparire un'affermazione ossimorica, ma la sensazione che il gioco da è proprio quella: nulla del setting e della realizzazione artistica sembre essere lasciato al caso. Tali sensazioni sono poi fortificate sia dalla colonna sonora (che mischia rock alternativo e sonorità sintetiche in modo magistrale) che da indubbie citazioni sparse per la città (tant'è vero che ce n'è una precisa ai Sex Pistols), oltre che dalla direzione artistica, tanto per le scelte cromatiche quanto per la vera e propria realizzazione tecnica.

Quanto al Gameplay, ci si potrebbe limitare a dire che si tratta, nella sua semplicità, di uno dei sistemi di comabattimento più freschi e coinvolgenti degli ultimi anni: l'accoppiata wiimote + nunchuck verrà utilizzata per una discreta varietà di mosse, che vanno dai colpi semplici (eseguibili premendo il tasto "A") alle mosse di wrestling, da porre in essere muovendo i controller. Anche la fase di ricarica della spada laser sarà eseguibile scuotendo il Wiimote, particolare che porrà il giocatore in un momento di stress dovuto alla mancanza di difese. Dalla forma scritta non si direbbe, ma posso garantire che si tratta di un'esperienza unica, soddisfacente e adrenalinica. Da sola, questo sistema di gioco meriterebbe un 10 pieno.

Ma il gioco, per quanto divertente, non si giudica dal solo elemento preponderante del gameplay: la potenziale perfezione del titolo è gravemente minata da difetti sia di natura tecnica che ludica. Da un lato, il gioco è affetto da un ossessivo pop-up nella fase di free roaming. Inoltre, Santa Destroy è fin troppo desolata e disabitata se paragonata a giochi come un qualsiasi Grand Theft Auto old-gen. Dall'altro, il ritmo di gioco risulta fin troppo spezzettato dalla necessità di dover raccogliere sempre più ingenti somme di denaro per "pagare l'iscrizione" alla sfida con ogni Assassino, necessità colmata (si fa per dire) con una serie di missioni secondarie e possibilità di lavoro, che per quanto simpatiche appaiono fin troppo ripetitive e ripetute.

Chiudendo il post, di No More Heroes si può dire che si tratta di un gioco potenzialmente sontuoso ma fin troppo imperfetto: con un pò di cura (e di fondi in più) si sarebbe potuto avere tra le mani un vero e proprio capolavoro invece che "solo" un gioco cult.



[8,5]