lunedì 23 agosto 2010

Solaris


Nel momento della sua massima espansione scientifica e spaziale, l'umanità si trova davanti al più grande enigma che abbia mai affrontato: Solaris.
Particolarità del pianeta è di essere ricoperto solamente da un grande oceano a prima vista simile a quelli terrestri, ma che a ben vedere si palesa come una massa viva dotata di intelligenza, che interagisce con gli scienziati della stazione spaziale, provocando avarie agli strumenti, facendo apparire fantasmi (o "Fenomeni F", come sono chiamati nel libro) e giocando con la psiche e i ricordi dei terrestri, portandoli sull'orlo della follia.
Il protagonista, Chris Kelvin, sulla stazione spaziale rivede Harey, sua ex moglie morta, "riportata" in vita dal pianeta utilizzando i ricordi dell'uomo. Lo scopo di Kelvin è quello di rendere Harey cosciente del suo stato di non-vivente, al fine di sfuggire dalla pazzia e sconfiggere il pianeta nel suo stesso gioco.

Questo libro è stato una piacevole scoperta. Ricordavo vagamente il film di Steven Soderbergh, che a dire il vero non mi fece una bella impressione, e non avevo mai visto quello di Tarkovskij. Molto più interessante è l'opera letteraria da cui il film è stato tratto, forte di tutta una serie di pregi.

Uno dei tratti meglio resi nel libro è l'aspetto scientifico. Parrà incredibile, ma tra le pagine dell'enciclopedia che Kelvin sfoglia durante il suo studio del pianeta, sono contenute dissertazioni basate su fatti ed esperimenti strutturate e apparentemente veritiere. Così come possibili paiono le dispute delle varie scuole di solaristica.

Altro punto a favore per l'opera è l'atmosfera. Sulla stazione spaziale si respira un'aria carica di desolazione, solitudine e oppressione, con personaggi sospettosi l'uno dell'altro e tutti egualmente alle prese con le proprie visioni e la propria ricerca di una salvezza dall'incubo in cui sono precipitati. Questo ambiente ben si sposa, poi, con gli eventi paranormali che accadono tra i corridoi del mezzo spaziale, con una presa sul lettore simile a quella ricreata anni più tardi da Stanley Kubrick con il suo Overlook Hotel.
L'alone di mistero e incertezza è accresciuto poi dalla presenza dell'Oceano di Solaris, nel suo continuo divenire, che mette in crisi tutte le conoscienze ottenute dall'umanità nella sua millenaria esistenza, forse si tratta dell'entità più "aliena" che la fantascienza abbia mai prodotto.

Il dramma di Lem è considerato, assieme a "1984" di Orwell e "Fahrenheit 451" di Bradbury (che proprio ieri ha compiuto 90 anni), uno dei pilastri del genere fantascientifico, ma dai due si distacca per profondità filosofica, per analisi scientifica e ambientazione. Chi si avvicina al libro con in testa di film del 2002 che ha per protagonista George Clooney si ritroverà spiazzato e seccato, ma ciò non toglie che si tratti di una grandissima opera di fantascienza, che ha (forse) il suo unico difetto nel ritmo non proprio da commedia.

[9,0]

giovedì 5 agosto 2010

The Wrestler


Una sola parola: Magnifico.

Il film di Aronofsky, Leone D'Oro a Venezia due anni fa, nonostante una sceneggiatura non originalissima ma ben raccontata, narra gli anni più oscuri di una stella della lotta libera che, dopo i fasti degli anni '80, si ritrova colpito da un infarto, solo e in stato di indigenza. Si tratta di una storia dai pochi alti e molti bassi, causati soprattutto dall'incapacita di Randy "The Ram" (il personaggio protagonista) di vivere una vita normale, incapacità che lo porterà a perdere per la seconda volta l'affetto della figlia e ad autodistruggersi nonostante gli evidenti limiti del proprio fisico.

Più che la regia (a tratti documentaristica) o la colonna sonora, vero e proprio omaggio ai Guns'n'Roses con un pizzico (e che pizzico) di Bruce Springsteen, il vero valore aggiunto di questo film è la qualità delle recitazioni: Mickey Rourke è semplicemente perfetto, tanto da essersi meritato un Golden Globe, una nomination agli Oscar e aver sfiorato la Coppa Volpi; Marisa Tomei, nei panni di una spogliarellista in fase calante, sembra tornata ai fasti di inizio carriera; Evan Rachel Wood, per quanto rivesta un ruolo marginale nel film è, come sempre, ben calata nella parte.

Fosse anche solo per ammirare la struggente interpretazione delle tre stelle, questo film va assolutamente visto.

[9,0]

Hiroshima: Nel Paese Dei Fiori Di Ciliegio


L'esplosione delle due bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki verranno sempre ricordate, oltre che come atto finale della Seconda Guerra Mondiale sul fronte del Pacifico, come uno dei momenti più cupi e al contempo inquietanti della storia dell'Uomo, un momento in cui la scienza vendette l'anima al Diavolo, un momento in cui la possibilità di autoestinzione dell'uomo divenne concreta, portando poi le generazioni successive a vivere nell'ansia che un tale apocalittico avvenimento potesse avverarsi.

Il lancio di Little Boy sulle metropoli nipponiche è anche lo spunto che ha ispirato Fumiyo Kono a disegnare le due storie di Hiroshima: Nel Paese Dei Fiori Di Ciliegio, fumetto del 2004 che ha raccolto consensi di pubblico e critica sia in patria che all'estero, arrivando ad ottenere due nomination per gli Eisner Awards e a vincere il premio letterario del New York Times come fumetto dell'anno 2007.

Iniziamo col dire che, pur essendo un manga del 2003, Hiroshima sembra provenire da altri tempi. Sia per il tratto delicato e a momenti incerto dell'autrice, che per l'uso della sola china nel dipingere le Tavole (eccezion fatta per gli artwork ad acquarello), Il manga pare quasi un prodotto degli anni '60, scelta stilistica in linea con il setting temporale (siamo nel 1955) dell'albo.
La due storie vedono protagoniste due ragazze, l'una sopravvissuta alla deflagrazione e l'altra nipote di un sopravvissuto, che vivono in perenne ricordo della tragedia, la prima attraverso ciò che hanno visto i suoi occhi e le sofferenze del suo corpo, la seconda per via degli strani comportamenti del nonno e la malattia degenerante del fratello, ma che in ogni modo cercano una ragione per continuare a vivere nel modo più normale possibile. Ciò che mi ha colpito delle storie è l'attenzione della Kono all'aspetto umano più che "tecnico" della tragedia: l'autrice infatti si è soffermata molto sui pensieri e le "barriere mentali" e umane con cui le due giovani donne convivono. Questo espediente crea un'atmosfera sospesa nel tempo e nello spazio, un'atmosfera che traballa tra il passato (i ruderi dell'Atomic Dome in tale ottica sono illuminanti) e il presente, tra l'espiazione del dolore e la ricerca della felicità che dà lustro e fascino al racconto, facendo continuamente ricordare al lettore la bomba, invisibile ma presente, come una sorta di fantasma che attanaglia gli animi dei sopravvissuti, incapaci di fronteggiarne la portata distruttiva ad armi pari.

Certamente, per chi è abituato a leggere manga più commerciali come OnePiece o Bleach, l'opera di Kono apparirà scialba, senza mordente e a tratti noiosa, ma se si vuole qualcosa in più rispetto ai combattimenti all'arma bianca o alle gag divertenti e (soprattutto) se si vuol leggere qualcosa di lontano dalle regole del mercato e più vicino a una vera e propria opera d'arte letteraria, Hiroshima è un acquisto obbligato e soddisfacente, che saprà commuovere e far pensare.
Non lo premio con un altisonante 10 solo perchè, nonostante l'altissimo livello di qualità, è veramente brevissimo, nemmeno 100 pagine.

[9,5]

lunedì 2 agosto 2010

Fahrenheit 451


Fare il pompiere in un mondo in cui gli incendi, invece che essere domati, vengono appiccati. Questo è l'impiego di Guy Montag, protagonista di uno dei migliori romanzi distopici - fantascientifici che abbia mai letto. Il mondo e la trama del libro, scritto quasi mezzo secolo da Ray Bradbury, sono notissimi e apprezzati, conseguentemente non mi soffermerò a lungo su di essi, ma la cosa che più mi ha sorpreso è come Fahrenheit 451 sembri scritto nei (e per) i nostri tempi piuttosto che per le genti della seconda metà del XX secolo: Rapporti umani freddi e sempre più votati all'indifferenza, scarsità di interesse per la cultura, manipolazione dell'informazione, tecnologia invasiva e alienante, gioventù senza valori e allo sbaraglio. Se non ci si trovasse in una situazione post-bellica, potremmo immaginare come setting dell'Opera qualsiasi città del mondo occidentale.

Che si tratta di un libro d'altri tempi, però, ce lo ricorda lo stile e il lessico dell'autore che, per quanto chiaro e senza sbavature, ricalca perfettamente il linguaggio e lo stile della narrativa anni '50, molto asciutto, esplicativo ma a tratti "distaccato" dalla vicenda. Inoltre, si può anche leggere il libro in una chiava più "contemporanea" all'autore, poichè Fahreinheit 451 è da più parti indicato come una critica al maccartismo imperante nei primi anni della Guerra Fredda negli Statu Uniti, definita da Eleanor Roosevelt come "la più grande ondata di fascismo che abbia colpito gli USA". Il tutto ricordando il precendente storico della "Notte dei cristalli" del 1938.

Particolare che, comunque, non inficia la bellezza e la forza del messaggio del libro, che invita tutti noi a non dimenticare, ad assaporare la cultura contenuta nei libri e ad attingere informazioni da più fonti, ma soprattutto ci insegna a pensare da noi, senza essere condizionati dai media, ricordando che un ammasso di incolti e plagiati è più facile da comandare e ammaestrare rispetto a gente acculturata e pensante. Anche perchè, come disse Heinrich Heine, "Chi inizia col bruciare libri, finisce col bruciare uomini".

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