martedì 24 gennaio 2012

Solatorobo: Red The Hunter


In un anno non particolarmente prolifico sul fronte delle release su Nintendo DS (in parte offuscato dal lancio del successore, Nintendo 3DS), a segnalarsi sono stati una manciata di prodotti per il due schermi più venduto al mondo: Okamiden, Inazuma Eleven, l'ormai consueto appuntamento natalizio con il professor Layton e proprio Solatorobo.

Sviluppato da CyberConnect2, attualmente al lavoro per conto di Capcom sul promettentissimo Asura's Wrath, Solatorobo è un riuscito incontro tra gioco di ruolo e picchaduro a scorrimento. In un mondo abitato da due razze (delle versioni antropomorfe di cani e gatti) il giocatore vestirà i panni di Red Savarin, un pirata del cielo che, durante una missione di recupero, salverà una misteriosa gatta che lo condurrà in una serie di eventi in cui è in gioco lo stesso destino del mondo.

Per quanto la trama sia lineare a piuttosto ritrita (dopotutto il target designato per la produzione era quello dei bambini) c'è da riconoscere che sa essere divertente e appassionante, anche grazie alle gag tra alcuni personaggi che danno brio alle vicende.

Come già accennato, il gioco fonde con sapienza elementi da RPG nipponico (ritrancciabili nelle possibilità di personalizzazione e potenzialmento del proprio mech e nel sistema di progressione dell'esperienza) e un gameplay da picchiaduro a scorrimento incentrato sul concetto di sollevamento.

In parole semplici, le fasi di combattimenti si svolgono utilizzando un singolo bottone (in rarissimi casi due), prima attraverso un rapido button smashing necessario a rompere le difese del nemico e gettarlo in aria, per poi finirlo con una serie di lanci in cui è necessario tempismo e precisione, medesime doti sono necessarie per evitare o respingere attacchi avversari. Anche qui, è innegabile che il sistema di combattimento è molto semplice, ma posso assicurare che nella sua semplicità sa essere appagante e relativamente profondo.

L'unico difetto di questo gioco, a fronte di una componente artistica molto cartoon e piacevole alla vista, è nel livello di difficoltà, molto basso, considerando che anche in termini di longevità non ci si può lamentare, tra campagne principali (ebbene sì, sono due e seguono gli eventi della serie TV in onda attualmente in Giappone), missioni secondarie e battaglie. Io ho concluso tutto in meno di trenta ore, che a mio modo di vedere non sono affatto male.

[8,0]

sabato 7 gennaio 2012

Hotel Dusk: Room 215


Tra i tanti meriti del Nintendo Ds c'è sicuramente quello di aver dato nuova linfa vitale ad un genere, quello delle avventure grafiche, che da anni viveva una lenta agonia.

E nel bailamme di decine di avventure grafiche che hanno visto la luce sul due schermi Nintendo, quelle di Cing sono tra le migliori, sia per realizzazione tecnica, sia per qualità della sceneggiatura.

Dopo aver tenuto a battesimo il portatile con Another Code: Due Memorie, la piccola softco poi chiusa ha saputo deliziare gli amanti del poliziesco con una avventura con la A maiuscola: Hotel Dusk: Room 215.

La trama ci mette nei panni di Kyle Hide, ex poliziotto ora investigatore con la copertura di essere un rappresentante che, durante una ricerca commissionatagli dal suo capo, viene a conoscenza che la stanza 215 dell'albergo in cui si trova ad investigare è stata occupata da un altro uomo col suo stesso nome. Kyle pensa immediatamente all'ex collega Bradley, la cui presunta morte lo ha spinto a lasciare il Police Department di Los Angeles. Da quel momento, nel corso della notte, l'ex poliziotto dovrà cercare quindi di ritrovare l'oggetto chiesto dal suo capo, far luce sulla vita dell'ex collega e capire in che modo i due fatti sono correlati.

Come si può notare, l'intreccio ha forti connotazioni giallistiche e noir. E come tutti i gialli che si rispettino, il protagonista sarà supportato da un cast di personaggi secondari sfaccettato e ottimamente caratterizzato, tutti con qualcosa da nascondere, tutti molto umani nelle reazioni e nei problemi che devono affrontare.

La struttura di gioco è quella solita delle avvenure grafiche: si esamina l'ambiente, si cercano indizi, si risolvono enigmi e si conducono gli interrogatori. Il tutto è svolto attraverso l'uso del pennino del Ds e, soprattutto, tenendo la console a 90° rispetto all'usuale posizione, come se si avesse in mano un libro, insomma. L'esplorazione è caratterizzata dal fatto che uno schermo riprodurrà una visuale dall'alto degli ambienti sottoposti ad ispezione, mentre l'altro sarà utilizzato per indirizzare Kyle attraverso un ambiente 3D utilizzando una visuale in prima persona.
Gli interrogatori, invece, sono piuttosto guidati e non lasciano la possibilità di continuare l'avventura se si sbaglia la corretta sequenza tra domande, risposte e indizi mostrati a riprova delle proprie tesi.
Nonostante ciò, però, l'esperienza di gioco non risulta mai frustrante, anzi Hotel Dusk, complice una colonna sonora all'altezza (seppure composta da un numero veramente esiguo di brani) e un'atmosfera che non ha nulla da invidiare ai romanzi di Ellroy o ai film di Truffault, riesce a calamitare l'attenzione dell'utente, rapendolo letteralmente fino alla conclusione del caso.

Parlando infine dell'aspetto artistico e tecnico, pur non eccellendo il prodotto Cing per quanto concerne il motore grafico in 3D, da applausi invece risulta l'aspetto cosmetico, caratterizzato da una palette cromatica calda e avvolgente che richiama subito alla mente certi polizieschi anni '70 che il cinema e la televisione ci hanno fatto amare e dall'uso della tecnica del rotoscope (la stessa utlizzata per il video "Take Me On" degli A-ha) per realizzare le animazioni dei personaggi. Proprio il rotoscope rende immediatamente riconoscibile e affascinante il gioco, già di per sé valente sotto l'aspetto ludico.

Condito da una longevità di tutto rispetto (attorno alle 12 ore), Hotel Dusk: Room 215 è unanimemente considerato una delle punte di diamante della sterminata softeca del Ds. L'unico difetto (per alcune categorie di giocatori) può essere riscontrato nel ritmo di gioco, sempre compassato e poco incline all'azione.
Comunque, il gioco merita tantissimo, uno dei migliori esponenti del suo genere non solo sul portatile Nintendo, ma in assoluto.

[9,0]

The Tourist


Da qualche anno il morbo del cinepanettone di italica origine si è espanso fino a travalicare i confini nazionali: esempi di questa pandemia sono stati Capodanno a New York nel 2011, Love Actually qualche anno fa e The Tourist lo scorso anno.

La formula è sempre la stessa: un cast che comprende nomi di assoluto richiamo, una città meravigliosa sullo sfondo, una canzone da hit parade nella colonna sonora, e una trama godibile. A parte l'ultimo punto, un copia&incolla delle produzioni FilmAuro degli ultimi 25 anni, non trovate?

Parlando del "caso" ora in analisi, ossia The Tourist di Florian Henkel Von Donnersmarck (chissà il codice fiscale), non si può non provare la sensazione di trovarsi davanti ad un'occasione sprecata, nonostante (lo scrivo sin da ora) il film sia l'ideale per passare due ore in spensieratezza e, se tutti i cinepanettoni fossero così, io ci metterei la firma.

Occasione sprecata, dicevo, per tutta una serie di motivi: anzitutto, si ha la perenne sensazione che le due stelle del film, Angelina Jolie e Johnny Depp, siano costantemente sottoutilizzate, con la prima che non cambia mai espressione dalla prima all'ultima inquadratura (e dire che in film come Changeling o Amore Senza Confini aveva dato ottima prova delle sue qualità di attrice) e con l'attore feticcio di Tim Burton che, oltre ad essere affetto dalla sindrome della Jolie, in più di una occasione sembra rimasto prigioniero del personaggio di Jack Sparrow, riproducendone tic e movimenti (la scena della fuga sui tetti è emblematica). Insomma, se con due star più volte vicine all'Oscar il miglior attore risulta Christian De Sica, qualche domanda è lecito farsela.

Altro punto debole del film è la trama, o meglio, il finale della trama: assicuro che, scoperto "l'arcano" su cui si regge la pellicola (che tra l'altro è un remake di un film francese di dubbia qualità), non si potrà fare a meno di esclamare "che finale di merda". Basti sapere che la Jolie cerca un uomo che ha evaso milioni di Euro (e che quest'uomo non è nè Maradona nè Valentino Rossi) e che per farlo deve raggiungere Venezia braccata dall'Interpol (che poi, non si sa bene come, è alleata con la Jolie, mah). Non scrivo altro, ma si può notare come la trama sia piuttosto esile e buona per farci stare un po' tutto, da scene romantiche (ci sono), scene d'azione (pure quelle) e scene da commedia (anche!). Non che sia un male, ma personalmente se devo vedere un thriller preferisco abbia un'anima più definita.

Salvabile invece la colonna sonora, mai invasiva a dire il vero, ma impreziosita da Starlight dei Muse (anche quella sottoutilizzata, a mio avviso starebbe benissimo in una scena d'azione o come "opening" dell'arrivo a Venezia, e invece qui ce la troviamo tra i titoli di coda) e promossa invece la città lagunare, come al solito affascinante e bellissima. Non per nulla è la città più bella del mondo.

Ma si sa non è il setting un particolare determinante ai fini del giudizio di un film, e la verità è che The Tourist è veramente poca cosa. Sicuramente buono per spassarsela due ore, ma ha delle lacune (che credo di avere ben esplicitato sopra) che non gli consentono di essere considerato un bel film e un'opera completa. E dire che visti i nomi che lavoravano al progetto (dal regista in giù) qualcosa in più era lecito aspettarselo.

[5,5]

giovedì 5 gennaio 2012

20 Sigarette


Una vera e propria sorpresa.
Non avrei scommesso un centesimo su questo film (un film italiano sulla guerra in Iraq?) eppure si è dimostrato un grande prodotto, capace di reggere il confronto e surclassare opere di ben altro richiamo come il (sovrastimato, a mio modesto parere) The Hurt Locker .

Il film, tratto dal libro autobiografico dello stesso regista Aureliano Amadei intitolato 20 Sigarette A Nassiriya, racconta la strage di soldati italiani avvenuta nella città iraquena nel 2003 attraverso gli occhi dello stesso Amadei, che si trovava nel deserto per girare un film e miracolosamente scampato all'esplosione.

L'inizio del film potrebbe lasciare piuttosto basiti, pare quasi una commedia generazionale, con il protagonista dedito a una vita leggera e sconclusionata tra centri sociali e sesso libero piuttosto che al lavoro e alla costruzione di un futuro stabile. Il registro del film tuttavia cambia totalmente dopo la scena dell'attentato (raccontata magistralmente con una visuale in prima persona): la pellicola si fa drammatica, cupa, ansiogena, a tratti commovente e toccante, senza lesinare su immagini dal forte impatto visivo. Ho apprezzato molto questo repentino cambio, quasi voglia sottolineare il cambiamento fisico e morale del protagonista, tra il prima e il dopo l'essere stati vicini alla morte. Cambiamento che si nota anche nel finale del film, quando i suoi amici del centro sociale lo criticano per aver messo sullo stesso piano i bimbi iraqueni e soldati uccisi dall'esplosione. Bello anche il moto polemico contro la retorica patriottica sviluppatasi attorno alla morte dei soldati.

Ottima la prova del regista quindi, così come degna di menzione è l'interpretazione di Vinicio Marchioni, intensa e sentita come poche altre volte mi era capitato di vedere su schermo. In certi momenti, mi ha ricordato (in intensità, sia chiaro) il Sean Penn di Mystic River.

Insomma, un film con la F maiuscola. Non un capolavoro, ma sicuramente uno dei miglior film italiani del 2010. Come sempre, passato in sordina. Ci fosse stato 20 Sigarette agli Oscar credo che avremmo avuto buone chances di vittoria.

[8,5]

Terra Nova - Stagione 1


Ok, possiamo dirlo senza troppi giri di parole: se proprio Steven Spielberg vuole impegnarsi in qualcosa che non siano i film, si dia all'ippica.

Dopo il passo falso di Falling Skies (almeno stando ai rilievi della critica) il buon Steven ci ritenta -sempre in veste di produttore esecutivo- con Terra Nova, serie dal budget ciclopico (si parlava di 4 milioni di dollari a puntata) e che si proponeva come figlia di un incrocio tra Jurassic Park, Avatar e un pizzico di Lost e una spruzzata di Stargate. Alchimia potenzialmente esplosiva. O potenzialmente orribile. E, se proprio devo essere onesto, l'ago della bilancia pende più verso il flop che non verso il successo.

Partiamo col dire che non sempre mettere troppi ingredienti in un calderone equivale al cucinare una pietanza prelibata. Si può dire lo stesso per la serie qui in analisi: Troppe citazioni, troppe fonti di ispirazione, troppa "ansia da prestazione", quasi come se si volesse dimostrare qualcosa al pubblico.

L'unica cosa dimostrata però è la carenza della sceneggiatura (banale fino allo star male, con personaggio stereotipati e presi di peso da altri contesti) che sa di già visto e non prova nemmeno a celare questa sensazione. Pure le premesse non sono originalissime, con la solita tiritera pseudoecologista della Terra che ha esaurito le risorse e bla bla bla che va tanto di moda dopo l'altro scempio di inizio millennio, Avatar.

Pure la costruzione degli episodi è ai minimi storici: il ritmo è incostante e per le prime tre puntate succedono cose che potevano benissimo riempire una stagione intera. E questo non è un motivo di orgoglio: gli eventi non hanno una spiegazione, tutto sembra succedere per caso e in modo pilotato. Lo spettatore guarda, guarda, guarda ancora e non un briciolo di coinvolgimento. e dire che volevano ispirarsi a Lost...

Nemmeno in quello che poteva essere il potenziale fiore all'occhiello della serie, quegli effetti speciali che hanno più volte salvato dal flop decine di blockbuster hollywoodiani, può essere elogiato. Jurassic Park (uscito nel 1994, attenzione) è ancora superiore.

Io non capisco come sia stato possibile finanziare una serie simile. Io stesso sarei riuscito a proporre qualcosa di meglio, e senza chiamare in causa sceneggiatori professionisti o chiedere 4 milioni a puntata per tirare in piedi la baracca. A meno di un radicale ripensamento per la seconda serie (se mai ci sarà, ricordiamo che hanno chiuso in anticipo Flashforward per molto meno), questa serie ha fallito.

[4,0]

lunedì 2 gennaio 2012

Killzone 3


Veramente, io non capisco cosa ci trovi di tanto esaltante in videogiochi simili quella vagonata di gente che, all'uscita di ogni First Person Shooter intasa negozi e centri commerciali per accaparrarsi una copia di un gioco che, non fosse per i nemici e il fondale, sarebbe identico a decine di altri giochi (caso particolare Modern Warfare 3 che E' identico a Modern Warfare 2).

Idem dicasi per Killzone 3, che però ha un paio di pregi rispetto agli altri FPS che ho potuto provare (ebbene sì, ogni tanto ci gioco anche io ma il gioco dei Guerrilla è il mio secondo sparatutto comprato in questa generazione di macchine da gioco), ovvero rende ottimamente il senso di pesantezza delle armi. Si ha come l'impressione che ogni arma influisca diversamente sul personaggio, rallentandolo, rendendolo più preciso, facendogli subìre un rinculo maggiore e via discorrendo. L'altro pregio è rintracciabile in una buonissima Intelligenza Artificiale nemica, sopra la media rispetto alle altre produzioni che ho provato.

Per il resto, però, solito schifo diversa data: una campagna single player che si finisce in un paio di pomeriggi, livelli che sono immensi corridoi con nemici sparsi, tanto casino e sezioni degne di un film di Michael Bay, una buona dose di parolacce e una grafica ben pompata messa lì apposta per addolcire l'occhio sperando di nascondere le deficienze e le meccaniche ultra-abusate di un genere, quello degli sparatutto in soggettiva, che ormai non ha più nulla da dire. Certo si potrebbe argomentare dicendo che viene anche offerta una buona sezione online, ma anche lì le solite cose già viste identiche in una ventina di titoli negli ultimi anni.

Ma la più grossa mancanza di Killzone 3 (e degli altri suoi colleghi a dire il vero) è la mancanza di un vero "senso di guerra", ovvero non si ha mai l'impressione di trovarsi per davvero su un campo di battaglia, ma al massimo su un set cinematografico. Poca cooperazione con i compagni in primis.

Insomma, non un brutto gioco, anzi gli appassionati di questo genere si divertiranno tantissimo e pure io per le prime due ore mi sono fatto trasportare, ma tutto sa di già visto, tutto prima o poi viene a noia. Se non fosse per il setting fantascientifico-retrò (impossibile non vedere somiglianze tra gli Helghast e i nazisti o tra i loro capi e i dittatori della Seconda Guerra Mondiale, Mussolini e Stalin in testa) l'avrei confuso con Battlefield. E con Call Of Duty. E con Dead Island. Ah no, lì ci sono gli zombies.

[6,5]

Portal 2


Primo gioco in assoluto provato dal sottoscritto prodotto e sviluppato da Valve, e primo gioco che vado a recensire nel 2012.

Dopo l'exploit del primo capitolo, rilasciato quasi per scherzo nel famoso The Orange Box, e l'enorme consenso di pubblico e critica da questi riscosso, lo studio di Gabe Newell decide di fare di Portal un altro franchise di punta, e lo fa sviluppando un sequel che, sotto ogni punto di vista, va ad integrare e migliorare il già promettentissimo primo capitolo.

Al di là della trama (che comunque non risulta mai noiosa nel suo dipanarsi, grazie a un buon ritmo e a una buona varietà di azione) ciò che conquista il giocatore è sicuramente la struttura di gioco, basata non sull'azione fine a se stessa, ma sullo sfruttamento della propria materia grigia per risolvere i vari enigmi ambientali che verranno sottoposti all'utente.

Con l'aiuto della Portal Gun, il giocatore dovrà aprire varchi spazio-temporali al fine di superare differenti "test" proposti da GLaDOS, una intelligenza artificiale che gestisce i laboratori della Aperture, compagnia al lavoro su non meglio specificati "progetti" che hanno a che fare con la produzione di nuovi armamenti. Fortunatamente il mero aprire e chiudere portali non è così banale come protrebbe sembrare leggendo l'articolo. Anzi, con l'aggiunta di differenti oggetti con cui è possibile interagire (raggi laser, gel repellenti, vernici di dubbia provenienza, torrette nemiche, fasci di luce e chi più ne ha più ne metta) ogni azione richiede attenta analisi e valutazione, senza però risultare mai frustrante o noiosa, proprio in virtù dei differenti item con cui si viene ad aver a che fare.

Oltre a questa struttura di gioco, veramente ben calibrata e ingegnosa, a dar man forte al prodotto intervengono una colonna sonora da urlo e capace di riservare un paio di brani azzeccatissimi e sorprendenti (a tal proposito, il mio consiglio è di scaricarsela gratuitamente dal sito thinkwithportals.com) e una sequela di personaggi secondari incredibilmente caratterizzati, dotati di ironia e sense of humor unici, capaci con le loro balzane affermazioni e gli strani modi di fare di strappare più di un sorriso al giocatore e, a volte, di fargli perdere il filo del ragionamento che sta seguendo per risolvere un enigma (Dannato Wheatley!)

Bellissimo il finale (che mi ha ricordato un passaggio dell'Orlando Furioso -ma solo a me temo-), bellissima anche la cooperativa online e split-screen offerta dal team di sviluppo, sia per costruzione delle stanze che per possibilità di comunicazione. Ciliegina sulla torta, la modalità coop offre una trama sua propria, quindi non si ha a che fare con le solite modalità che i vari Call Of Duty ci hanno fatto giocare fino alla noia.

A rendere ancora più gustoso un sì succulento prodotto, ci sono poi due gradite aggiunte: il cross-gaming tra giocatori PS3 e Steam e il DLC gratuito con cui è possibile creare e condividere i propri test.

Tutto ciò rende Portal 2 non solo uno dei migliori giochi dell'anno appena trascorso, ma uno dei migliori prodotti di questa generazione di macchine da gioco. Raramente negli ultimi anni si sono viste produzioni dotate di cosi tante e grandi qualità ed intelligenza.

Da avere.

[10]

Il Discorso Del Re


Al di là della facile ironia che si può fare negli ultimi tempi in Italia riguardo all'esercizio del potere presidenziale da parte di Giorgio Napolitano (che è stato soprannominato, non di certo con accezione positiva, "Re Giorgio" dalla stampa anglosassone), il film di Tom Hooper merita di essere visto ed apprezzato come il miglior film inglese degli ultimi anni.

La trama ricalca la storia del Regno nei bui anni antecedenti all'entrata del Regno Unito nella Seconda Guerra Mondiale concentrandosi sulla personalità del Duca di York, futuro Re Giorgio VI, uomo di grande determinazione e tempra ma afflitto da una imbarazzante balbuzie la quale, in un epoca in cui cominciava ad affermarsi la cultura dell'immagine e della comunicazione, rischiava di minare credibilità e autorevolezza del Sovrano. Ma con l'aiuto (a tratti poco ortodosso) di un logoterapeuta australiano, il Re migliorerà di molto la sua pronuncia, fino a riuscire a pronunciare lo storico e toccante discorso che ispirerà il popolo britannico a combattere contro Hitler.

Il film mi ha colpito perchè si concentra non sulle dinamiche politiche, ma sulle debolezze del Potere, avvicinando di molto la figura (a tratti mitizzata) del Sovrano a quello di un uomo comune, con gli stessi difetti e le stesse debolezze. E proprio questo particolarissimo taglio dato alla narrazione suscita empatia e compassione nello spettatore, facendogli fare il tifo per Giorgio VI. Devo ammetter che la sequenza finale mi ha fatto venire i brividi per l'intensità della prova d'attore di protagonisti e per l'ottima resa del drammatico momento storico in cui si è svolta.

Premiato meritatamente con 4 Oscar, trova nel duo Geoffrey Rush - Colin Firth due interpreti di qualità assoluta, capace da soli di reggere il gioco per oltre due ore di film. Magistrale soprattutto Firth, che con questa pellicola vinse l'Oscar come migliore attore protagonista toccando l'apice di una carriera troppo spesso sottovalutata e condita da troppi alti e bassi.

[9,0]