lunedì 27 dicembre 2010

Metroid Other M


Gestire un reboot o trovare nuove idee per portare avanti una saga che ha oltre vent’anni di successi alle spalle non è mai facile. Per essere critici, potremmo dire che non è facile in via generale, come dimostrano i tanti “restart” che hanno subìto molti brand in questa generazione, dal solo mediocre Alone In the Dark al contestatissimo e prossimo futuro reboot di Devil May Cry, passando per i controversi cambi di rotta di Splinter Cell, Prince Of Persia o Final Fantasy XIII.

Eppure, la serie di Metroid, una delle più prestigiose e osannate saghe video ludiche di sempre, ne sembrava immune: dopo aver fatto faville e chiuso l’epoca del 2D con Super Metroid, ad oggi il miglior capitolo della saga e uno dei migliori videogiochi di tutti i tempi, era tornata a dettar legge attorno all’anno 2000 grazie al lavoro impeccabile del team Retro Studios (fatto che fece piuttosto clamore all’epoca) i quali sfornano i tre capitoli di Metroid Prime, che segnano il passaggio della serie al 3D e fondano un nuovo genere, quello delle avventure in prima persona, fondendo mirabilmente le meccaniche dello sparatutto in soggettiva con la straniante atmosfera e il sublime level design che caratterizza da sempre la serie nata dalle penne e dalle menti di Gunpei Yokoi e Yoshio Sakamoto.

Dopo i tre capitoli ad opera dello studio texano (Prime, Echoes e Corruption) che nel peggiore dei casi sono solo “ottimi”giochi, Sakamoto ha la pensata di abbandonare la visuale e le meccaniche tipiche della trilogia per proporre una sorta di ritorno al passato per la saga: un gioco per NES giocabile su Wii, per intenderci, pur non tradendo del tutto l’uso della soggettiva, come vedrem più avanti. Per far ciò, il padre della saga si affida alla collaborazione del Team Ninja, squadra di sviluppo tra le più esperte nei giochi d’azione e tra le più celebrate del mondo, nonostante l’addio del suo capo carismatico, Tomonobu Itagaki, e all’estrema semplicità del wiimote il quale, se piegato di 90 gradi, è innegabilmente identico al pad del glorioso NES.

Da questa intuizione nasce Metroid Other M, il quale, in netta contrapposizione con il passato recente, torna alla terza persona, ma stavolta in un ambiente per lo più tridimensionale, in una situazione completamente nuova per il brand. Oltre a ciò, però, questo gioco ha anche il coraggio di rompere alcuni degli stilemi tipici della saga: il level design si fa ora meno intricato, l’azione è molto più veloce e adrenalinica e la trama vuol essere più importante per l’impianto di gioco.
Com’è il risultato di un esperimento così ardito e quali sono i risultati della collaborazione tra Nintendo e Team Ninja? La risposta è stata piuttosto sfaccettata e raramente condivisa. Metroid Other M, infatti, ha letteralmente spaccato critica e pubblico in due, da un lato chi stroncava totalmente questo ibrido, ritenendolo né carne né pesce, con buone idee ma mal sviluppate, e dall’altro invece chi la pensava in modo diametralmente opposto, ritenendo questo capitolo, pur con i suoi difetti, la pietra di fondamento su cui costruire il futuro della saga. Io mi vedo schierato tra questi ultimi, ma procediamo con ordine.

Uno dei capisaldi che sta alla base dell’opera di Nintendo e Team Ninja (e Imagica, D-Rockets… scorrendo i titoli di coda, è impressionante la lista delle case di sviluppo coinvolte anche marginalmente nel progetto) è che la trama doveva rivestire un ruolo molto più incisivo nell’economia dell’opera, e doveva avere caratteristiche tali da rendere meno nebuloso il passato (e più marcato il personaggio) di Samus Aran, la cacciatrice di taglie protagonista da sempre di Metroid. Senza anticipar nulla sui contenuti del plot narrativo (se non che la nostra eroina si troverà a indagare sugli inusuali eventi che sconvolgono la Stazione di Sviluppo scientifico Arca in compagnia di soldati della Federazione Galattica, organo abbandonato da Samus in giovane età), posso dire che esso rivela momenti insospettabilmente toccanti, capaci di generare un’alta empatia tra personaggio su schermo e giocatore, e getta una nuova luce sulla bionda Samus, che fino ad ora era sempre stata una fredda esecutrice delle missioni che le venivano assegnate, mentre con Other M assume contorni più umani e non lesina di mostrare i propri sentimenti e di dire ciò che pensa. Come giustamente notato da molti recensori, se prima Aran era un’armatura con dentro una donna, ora è una donna con attorno un’armatura, prospettiva diametralmente opposta. I critici hanno parlato di “involuzione manga” del personaggio, visto che a loro dire Samus pare esser divenuta l’eroina di un Seinen qualsiasi. Io non mi trovo d’accordo, è trovo più che buona la nuova natura decisamente più femminile e più emotiva di Samus, in quanto propone un bel paragone tra l’”umana” e la “professionista”, mostrando come i due ruoli spesso generino conflitti.

A livello di progettazione dei livelli e di struttura di gioco si concentrano i dibattiti più aspri tra sostenitori e detrattori. Ritengo che per parlar di questi aspetti si debba ricordare che, rispetto al passato remoto e prossimo, Metroid Other M punta in modo preponderante sull’azione e i combattimenti –opinione corroborata dalle nuove animazioni del personaggio, ora più veloce, scattante e reattivo – e che a lavorarci è stato il Team Ninja, acclamato per le capacità mostrate nella serie (guarda caso, action) di Ninja Gaiden. Se teniamo conto di ciò e vediamo questo gioco come va visto, ossia in un’ottica differente rispetto a un Super Metroid qualsiasi, Other M convince appieno e si giustifica anche la linearità dei livelli (che, a onor del vero, sono qui più elaborati rispetto a quelli di un God Of War o di un Bayonetta a caso). Nonostante permanga la tipica “Sindrome di Samus” (il personaggio in un momento iniziale può godere di tutti i power-up, i quali vengono perduti di colpo e riacquistati nel corso dell’avventura) che par aver fatto proseliti –qualcuno ha detto Assassin’s Creed?- il gameplay, nella sua semplicità (con un tasto si salta, con uno si attacca, rivolgendo il wiimote verso lo schermo si indirizzano i missili, feature più facile a farsi che a dirsi), è una bomba, e non mancherà di esaltare il giocatore, specie considerando che la barra della stamina è sempre piuttosto corta e che i nemici sono altamente aggressivi e non perdoneranno nessun errore o tentennamento. Facendo una piccola digressione sulla fase finale della “sindrome” di cui sopra, i poteri ad esser sinceri non si conquistano nel modo classico, ossia recuperando oggetti (gli unici recuperabili permetteranno di aumentare il numero di razzi sparabili dal braccio a cannone) o sconfiggendo boss, bensì attendendo che il capo del contingente della federazione dia il suo placet al loro utilizzo. Caratteristica che ha fatto storcere più di un naso, ma che è spiegabile molto semplicemente, dato che, essendo Samus sua sottoposta per la missione, è logico che agisca secondo il volere del comandante. Concordo con chi critica la poca eleganza della cosa, ma la spiegazione fila.

Dopo aver dibattuto sulle caratteristiche più opinabili del gioco, non resta che trattare il comparto grafico e sonoro, oltre che spendere due parole per la longevità del prodotto, la valenza artistica e sulle considerazioni finali.

Tecnicamente, Metroid Other M fa certamente un bell’effetto. Pur non raggiungendo la bellezza grafica di Super Mario Galaxy 2, l’engine è senza dubbio di ottimo livello e garantisce sempre l’aggiornamento dell’azione su schermo senza rallentamenti o cali di frame rate. Certo,alcuni ambienti sono piuttosto spogli e ripetitivi com’è logico che sia per un’astronave, ma nel complesso l’impatto è più che buono .

Parlando del sonoro, bisogna dire che risulta molto meno epico e invasivo rispetto al passato: dando per scontato che i rumori ambientali o i versi dei mostri sono curatissimi e diversificati, la colonna sonora si affida per la maggior parte a musiche minimali, elettroniche e ambient, solo raramente ci si imbatte in componimenti orchestati degni di nota. Ciò intacca anche l’atmosfera: se si facesse un paragone tra la OST di Metroid Prime 3 e quella di Other M, sarebbe senza dubbio quest’ultima ad uscirne con le ossa rotte. A mio avviso, questo un difetto molto grande per un gioco che punta, oggi come ieri, sull’immersione in un mondo sostanzialmente solitario e alieno quale è Metroid.

Da rimarcare, per quanto riguarda l’aspetto cosmetico, sono infine i filmati, i quali è affidata la spiegazione e il dipanarsi degli eventi e che alla fine del gioco verranno raccolti in una sorta di “pellicola” della durata di circa due ore e mezza e potranno essere visti come un vero e proprio film. Visivamente sono veramente bellissime, realizzati con una Computer grafica di tutto rispetto con una regia attenta ad enfatizzarne ora la drammaticità, ora l’epicità. Non una aggiunta che cambia radicalmente il giudizio su questo videogioco, ma un innesto molto ben realizzato.

Parlando di artisticità del prodotto, non c’è altro da dire se non che il character design è rimasto in linea con la tradizione, riproponendo un bestiario che pare un’ibridazione tra rettili, dinosauri e creature vegetali da far invidia alle bestie di Avatar, molto curato e ben inserito nel contesto. Forse qualche nemico in più non avrebbe guastato, ma nel complesso il risultato è più che soddisfacente. Il personaggio più rimaneggiato è senza dubbio quello di Samus Aran, ora molto più longilinea e formosa, come da tradizione per tutti i personaggi femminili “Made in Team Ninja”. Da rimandare qualche soldato della Federazione, eccessivamente stereotipato (vedasi il sosia di David Beckham).

Per quanto riguarda la longevità, essa si rivela invece nella media, dato che si potrà concludere l'avventura a bordo della Stazione Arca in meno di dodici, intensissime, ore.

Concludendo, Other M è un progetto coraggioso, che cerca in ogni modo di proporre novità e di individuare nuove linee evolutive per la saga. Certo non tutto è limato alla perfezione, ma secondo me ci si trova davanti a basi solidissime per il futuro di Metroid

[8,5]

Hachiko - Il Tuo Migliore Amico


Se è vero che il cane è il miglior amico dell'uomo, quella di Hachiko è forse la storia più emblematica e meglio adatta a descrivere questo rapporto ancestrale.

Il vero Hachiko nacque in Giappone negli anni '20 e divenne famoso in tutta la nazione (e anche al di fuori dei confini dell'Impero) per aver atteso il suo padrone, morto sul posto di lavoro a causa di un ictus, tutti i giorni per dieci anni alla stazione di Shibuya, nella vana speranza di vederlo tornare. Il cane, un Akita Inu, divenne così simbolo del legame di amicizia e fedeltà che è in grado di instaurarsi tra uomo e cane, tanto che in occasione della sua morte (avvenuta sempre alla stazione in cui attendeva il padrone) il Giappone fu coinvolto in una grandissima commozione e, per onorare un così sincero amico, si decise di dedicargli una statua in bronzo, situata nel luogo dove Hachiko si sedeva ogni giorno in attesa, e il cane fu sepolto accanto alla tomba del padrone.

La storia di Hachiko ebbe una risonanza tale da vedersi dedicare un film nipponico del 1987, Hachiko Monogatari e da essere ripresa in molte altre produzioni, basti pensare all'episodio Cuore di Cane di Futurama o al videogame The World Ends With You.

Proprio la pellicola dell'87 è stata la base su cui si è sviluppata l'idea di Hachiko - Il Tuo Migliore Amico, film datato 2009 e diretto dallo svedese Lasse Hallstrom.

La prima grande differenza tra la storia vera e il film del regista di Chocolat consiste nel fatto che il setting non è il Giappone degli Anni '30, bensì il Rhode Island della fine degli anni '90. Inoltre, nel raccontare la vita del cane, gli sceneggiatori si sono presi ampie licenze, inserendo un contesto famigliare molto lontano da quello originario (unico punto in comune, il fatto che il proprietario dell'Akita fosse un professore universitario). Nonostante ciò, il nucleo essenziale, incentrato sul profondo sentimento che legava animale e umano, rimane intatto e, proprio come nella realtà, non ci si può non commuovere dinanzi a una storia simile. Personalmente, pensare che il cane sia rimasto in attesa del padrone fino alla morte, nonostante la possibilità di vivere tranquillamente col resto della famiglia, mi ha colpito moltissimo, considerando anche il fatto che gli Akita sono cani molto particolari, che raramente, per non dire mai, si affezionano in modo così viscerale all'uomo.

Nel cast, composto quasi totalmente da attori di secondo piano, spicca il nome di Richard Gere, alla seconda collaborazione con Hallstrom dopo The Hoax, film che ha saputo rilanciare la carriera dell'attore. Nonostante l' interpretazione di Gere non sia di livello assoluto (così come quella dei comprimari, tra cui è presente Sarah Roemer, divenuta famosa con Disturbia) e la regia non spicchi per maestria od originalità -come sempre, quando si parla di Hallstrom- se non per l'idea di mostrare alcune sequenze con gli occhi del cane, e il resto della produzione si attesti su livelli accettabili -dalle musiche, ben adatte ai toni del film ma eccessivamente didascaliche, alla fotografia, in linea con la pochezza della regia di Hallstrom- Il film sa intrattenere e intenerire, proprio in virtù della peculiarità del tema, tanto banale nella teoria quanto eccezionale nella pratica.

Potrebbe sorgere un eventuale confronto tra questo film e altre pellicole dedicate al rapporto cane-uomo, come lo splendido Antarctica o Io & Marley. Secondo me il raffronto è sbagliato, perchè ognuno di questi film ha un linguaggio e un modo di approcciarsi al tema in modo differente. A modo suo, ognuno di questi film merita di essere visto se si è amanti dei cani, ma è innegabile che quello più banale (almeno dal punto di vista della sceneggiatura) è proprio Hachiko.

[6,0]