giovedì 26 maggio 2011

51 Modi Per Salvarla


Che il Giappone sia terra ad elevato rischio sismico è fatto ben noto, e a testimoniarlo c'è anche il grave sisma che ha colpito il Sol Levante meno di due mesi fa.

Proprio sul tema, in tempi non sospetti, Usamaru Furuya, una delle nuove firme del manga nipponico, in collaborazione con un pool di giornalisti ed esperti, ha realizzato una serie ora edita in Italia da Ronin in cinque volumi.
La trama (a tratti profetica) vede i due protagonisti, Jin e Nanako, alle prese con il più grande terremoto che abbia mai colpito il Giappone. I due si ritrovano da un momento all'altro in una Odaiba (la città sorta nella baia di Tokyo in seguito alla costruzione di una lingua di terra fatta di materiali edili e rifiuti) che sta sprofondando, a causa della pessima gestione della costruzione dell'isola artificiale, con uno tsunami in arrivo e i mille inconvenienti che un fenomeno del genere porta sempre con sè.

La cosa migliore di 51 Modi Per Salvarla è sicuramente la molteplicità delle chiavi di lettura che propone: lo si può vedere come uno shonen, con l'eroe buono che salva i feriti e la ragazza debole ed indifesa, oppure per ciò che è in realtà, ossia una costruzione realistica, dal piglio quasi documentaristico, che (nonostante a noi occidentali paia incredibile) sferza sia una società giapponese sempre più allo sbando, presa com'è dalla frenesia della vita moderna e caratterizzata dal raffreddarsi dei rapporti umani, sia i suoi governanti, corrotti, distanti e soprattutto corresponsabili della catastrofe.

Molto bello anche il tratto visivo (asciutto e tendente al realismo) scelto dall'autore, caratterizzato da un abbondante uso della china che rende benissimo la sensazione di desolazione, oppressione e piccolezza dinanzi alla forza distruttrice della Natura. Meno ispirato il design dei personaggi, ma comunque accettabile. Il quadro d'insieme è comunque lodevole: mai avevo visto un manga tanto curato sotto il profilo tecnico e scientifico (potremmo persino dire che l'opera è una sorta di vademecum per sopravvivere a un sisma) quanto attento a trasporre un mondo e un'umanità così vicina alla realtà, miserevole ed eguale davanti all'apocalisse.

Oltre che sul design potrebbero essere avanzate rimostranze anche sui personaggi in sè, fin troppo stereotipati. Ma, come ho detto, il focus di 51 Modi Per Salvarla è quello della critica sociale, del mockumentary, non certo quello di uno shonen qualsiasi.

Secondo me si tratta di un prodotto di eccellente fattura, pur con le pecche succitate, che chiunque avesse voglia di qualcosa di diverso rispetto al Naruto di turno non dovrebbe farsi scappare. Ottimo soprattutto il mix tra azione e analisi, critica e cronaca. Il fumetto getta una luce diversa anche sulla tanto decantata normativa antisismica nipponica e sull'altrettanto lodata efficienza della classe politica, facendoci capire come tutto il mondo sia paese davanti a eventi di immani proporzioni.

Spero solo che Furuya non l'abbia gufata.

[9,0]

This Is War


Tracklist:
1.Escape - 2:24
2.Night of the Hunter - 5:40
3.Kings and Queens - 5:47
4.This Is War - 5:27
5.100 Suns - 1:58
6.Hurricane - 6:12
7.Closer to the Edge - 4:33
8.Vox Populi - 5:43
9.Search and Destroy - 5:38
10.Alibi - 5:59
11.Stranger in a Strange Land - 6:54
12.L490 - 4:26

Nel ramo "emo" del rock negli ultimi anni so sono visti tantissimi gruppi arrivare alla celebrità, basti pensare ai My Chemical Romance, ai Fallout Boy, agli AFI. Tra di essi c'erano anche i 30 Seconds to Mars, gruppo creato da Jared Leto, ormai ex promettente attore, e dal fratello Shannon, che ha conosciuto la ribalta internazione con l'album A Beautiful Lie, che comprendeva pezzi encomiabili come From Yesterday, il cui video era ambientato nella splendida Citta Proibita di Pechino, e The Kill, omaggio allo Shininig di Kubrickiana memoria.

Notare però che ho usato il verbo all'imperfetto, "c'erano". Eh sì, perchè questo nuovo (in termini relativi, in quanto uscito nel 2009) lavoro del gruppo californiano introduce dell grosse novità a livello di sound, abbandonando almeno in parte le atmosfere più tipicamente Emo e riallacciandosi al rock più tradizionale pur senza disdegnare sonorità elettroniche e sintetiche. Cambio di rotta dovuto, a mio avviso, dalla presenza di Flood e Steve Lillywhite (produttori, tra gli altri, di Depeche Mode e U2) alla produzione.

Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal disco, sia per la "virata" al rock meno ombrettato di cui sopra, sia per l'idea di inserire nei brani delle parti cantate dal pubblico che ha assistito ai concerti del gruppo, creando una specie di "finto-live" che in alcuni casi dà risultati eccezionali, mitigando il freddo tecnicismo della registrazione in studio. Benintenso, qualche difetto per i miei gusti qua e là è rimasto (Jared Leto tende troppo ad urlare più che a cantare, alcune intro sono lunghe e noiose), ma la band è giovane e ha margini di miglioramento.

Ma che dire delle canzoni? Diciamo che su dodici canzoni, otto sono di buona fattura, con i picchi rappresentati dalle hit come This Is War (che i fan di Dragon Age Origins ricorderanno), Night Of The Hunter (l'unico vero brano con tinte emo, visto il sound e il testo dagli inequivocabili richiami esoterici) e Closer To The Edge, canzone "da stadio" veramente trascinante, con un testo che sprona l'uditore a non arrendersi mai. Belle anche le sonorità epiche e d'ampio respiro di Kings And Queens e Search And Destroy. Oltre alla intro, dimenticabili si dimostrano solo le ultime due canzoni, che sembrano inserite giusto per chiudere l'album. Potremmo dire che il disco parte alla grandissima, piazzando cinque grandi canzoni nelle prime sette, per poi perdersi nelle tracce finali.

Insomma, il terzo disco dei fratelli Leto si presenta come un disco finalmente completo, con una line up di alto livello e con parecchie idee, non tanto a livello testuale quando a livello musicale. Oltretutto, pare che il gruppo abbia un pò messo in disparte l'immagine a favore della musica, evidenziando una volta in più il talento della formazione.

A differenza di Arrivederci, Mostro!, i quattro anni passati ad attendere This Is War sono stati ampiamente ripagati.

[8,0]

Una Notte Da Leoni 2


Premetto che non ho visto il prequel, ma sono comunque riuscito ad ottenere delucidazioni in itinere, durante la proiezione del film.

Senza star tanto a girarci intorno, questo è uno dei migliori film comici dell'anno. L'idea di base della trama non è poi così diversa dal precedente, applauditissimo film (quattro amici organizzano un addio al celibato in cui succede di tutto. Svegliatisi il mattino dopo, uno di loro è scomparso e gli altri non ricordano nulla) ma, nella sua banalità, si presta benissimo a fare da collante alle decine di gag che si susseguono senza sosta.

Cambia qualche particolare: invece che a Las Vegas qui siamo a Bangkok e invece che Doug ad andar perso sarà Teddy, il giovane fratello della promessa sposa di uno dei protagonisti. E non c'è più nemmeno Heather Graham, rimpiazzata da una meravigliosa attrice thailandese il cuo nome mi è purtroppo ignoto. Rimane però la presenza di Mister Chau, ambiguo amico asiatico dei quattro, a mio avviso uno dei personaggi più demenziali e meglio riusciti degli ultimi anni, e quella di Mike Tyson, in una veste alquanto particolare.

Migliore new entrie è però sicuramente la scimmietta spacciatrice che si vede in locandina, al centro di uno dei momenti del film che più mi hanno fatto ridere, anche se, a onor del vero, tutto il film è un tripudio di risate.

Non che ci sia tantissimo da dire su un film del genere, se non che se si ha voglia di passare un paio d'ore scarse all'insegna della leggerezza, Una Notte Da Leoni 2 è il film giusto. Certo qualche gag potrebbe sembrare piuttosto spinta, ma in fondo ci sta, si sa cosa si dice in giro su Bangkok.

[8,0]

domenica 22 maggio 2011

The 3rd Birthday


Prima di recensire questo gioco, vorrei dire la mia su come la stampa specializzata lo ha trattato, e non voglio farlo partendo dalla mera votazione ricevuta (non si va mai -giustamente- oltre l'8) ma sul modus operandi.
A mio avviso si è partiti prevenuti, considerando questo gioco come il terzo capitolo di Parasite Eve, saga action-RPG divenuta oggetto di culto negli anni Novanta. Quindi, nella mente del recensore di turno, questo è Parasite Eve 3, fatto corroborato dalla presenza di Aya Brea, Kyle Madigan e Kunihiko Maeda, storici volti della saga, e dal setting newyorkese. Peccato però che The 3rd Birthday si stacchi moltissimo dal passato della saga, proponendo nuovi nemici (i Twisted di cui parlerò più avanti), un nuovo staff dietro le quinte - i primi due erano opera di Hironobu Sakaguchi, questo di Hajime Tabata- ma, soprattutto, un nuovo gameplay, più vicino al TPS che non al gioco di ruolo d'azione. Quindi, secondo il recensore di turno, è brutto, senza "se" e senza "ma".
Peccato inoltre che, sin dall'annuncio, si fosse parlato di spin-off della saga principale, quindi il cambio di impostazione non può e non deve essere considerato un difetto. Oltretutto, non si spiega perchè degli sparatutto in terza persona oggettivamente meno originali di The 3rd Birthday siano osannati e un gioco con dei difetti ma tutto sommato di buona fattura come questo affossato.
Altra cosa che non mi spiego è il definire i Twisted come nemici "troppo derivativi". Spiegatemi questa definizione, tenendo conto che parliamo di un medium che ha campato per anni sugli zombies (che tutto sono fuorchè originali) e gli alieni.
Comunque, dopo la mia invettiva polemica, posso iniziare la vera recensione.

Solitamente inizio a parlare della trama di un'opera, il problema è che la trama di The 3rd Birthday è così cervellotica (e, ad onor del vero, per nulla entusiasmante) che non basterebbe un pomeriggio per scrivere tutto. Basti sapere che la vigilia di Natale del 2010 l'umanità è stata assaltata da un nuovo flagello, i Twisted, esseri sconosciuti che sono emersi dalle profondità della Terra con il chiaro intento di distruggerci tutti. Il governo statunitense corre ai ripari fondando la CTI, un'unità speciale internazionale che mira a risolvere la crisi. Fulcro dell'unità è Aya Brea, agente pluridecorata trovata in stato di incoscienza in una chiesa, unica superstite tra gli invitati al suo matrimonio. Aya ha un potere che la rende unica, l'Overdive, ossia la capacità di prendere possesso dei corpi altrui. Sfruttando questo dono, Hyde Bohr, capo della CTI, decide di inviarla nel passato per cambiare il corso degli eventi. Aya avrà così due obiettivi: eliminare alla radice la piaga dei Twisted e scoprire cosa accadde durante il suo matrimonio.

Bisogna dire che giocando si possono notare dei rimandi a film come La Guerra Dei Mondi di Steven Spielberg (la cui idea di emersione di mostri è anche alla base della trama di Gears Of War, tanto per parlare di derivativismo) e Kill Bill di Quentin Tarantino, specie parlando di "sposa imbrattata di sangue" e "anziano ex capo" in rapporto di odio/amore con la suddetta. C'è da ammettere che tutto sembrerà confuso e leggermente campato per aria sino alle battute finali del gioco, quando un colpo di scena (piuttosto assurdo invero) spiegherà tutto.

Il gameplay, come detto, è fortemente diverso dalla saga principale di Parasite Eve, essendo fortemente orientato allo sparatutto in terza persona, pur mantenendo elementi tipici del gioco di ruolo, come l'avanzamento di livello e l'acquisizione di punti esperienza.
L'elemento di assoluta novità è per il già citato Overdive, ossia la capacità della bionda protagonista di entrare nel corpo altrui e assumerne le sembianze controllandone le azioni. L'idea conferisce all'azione un ritmo altissimo e funziona ottimamente, tanto da permettere anche la creazione di qualche strategia piuttosto elaborata, peccato che a volte l'imbarazzante intelligenza artificiale dei soldati che fanno da spalla ad Aya renda le cose leggermente frustranti: si parla di un AI talmente elementare da far sì che molte volte i partners stiano a farsi ammazzare dai nemici senza nemmeno cercare riparo dietro le (tante) coperture sparse per i livelli di gioco.
Nonostante questa pecca, tuttavia, il sistema di gioco appare ben strutturato, anche in virtù di una ampia libertà di modificare sia le abilità di Aya, attraverso la manipolazione di frammenti del suo DNA, che il suo arsenale, vista la grande quantità di armi disponibili, tutte potenziabili ad eccezione della pistola d'ordinanza. Proprio a tal proposito, c'è da dire che la protagonista avrà a disposizione un massimo di quattro armi: la pistola, due armi eleggibili dal giocatore e una quarta che varierà a seconda del tipo di soldato che verrà "posseduto".
Qualche difetto oltre alla risibile IA inoltre lo si può trovare in dettagli come l'animazione che non permette ad Aya di ripararsi automaticamente quando deve cambiare caricatore, ma si tratta di una piccolezza a cui è possibile ovviare con un pò di accortezza.

Il level design è classico quello classico dei giochi a base di sparatorie, ossia molto lineare e inframezzato da checkpoint dove curarsi, cambiarsi d'abito e ricaricare le armi. Al fine di non rendere troppo monotona l'esperienza, il team di sviluppo ha cercato (con successo) di diversificare le situazioni, mettendoci ora a fuggire da un nemico che ci rincorre, ora a pilotare un aereo per salvare un contingente accerchiato dai Twisted, anche se il fulcro dell'esperienza resta il falcidiare più nemici possibili per passare allo stage successivo.

A livello tecnico, come sempre, Square Enix non si discute: la grafica è sontuosa, tanto nelle sezione giocate quanto durante i filmati in computer grafica. Da menzionare anche il decadente mondo di gioco, artisticamente molto evocativo. Meno ispirato il sonoro, sia per le voci dei personaggi, che per la colonna sonora, la quale, pur portando la firma di Yoko Smimomura, stenta a decollare e offre solo verso la fine pezzi veramente memorabili.

Quanto a ore per concluderlo, non credo sia possibile scendere sotto le 9-11 ore per la prima tornata. Considerando poi i vari livelli di difficoltà, gli obiettivi da conseguire, le armi e i costumi alternativi da sbloccare (oltre che il famoso video della doccia, sbloccabile dopo aver finito il gioco 50 volte), la rigiocabilità è altissima.

Il giudizio finale su The 3rd Birthday mi ha, come mai accaduto prima, messo in una posizone strana: il gioco non è brutto, anzi, per essere un TPS, su una portatile con deficienze in quanto a controlli come PSP funziona alla grandissima (solo Resistance: Retribution nel suo genere può essergli considerato superiore), il gameplay è buono, ma ci sono una serie di difetti, come la trama o la componente sonora, che ne abbassano sensibilmente la qualità generale. Il voto ideale sarebbe tra il 7,5 e l'8, ma preferisco arrotondare per difetto. E non perchè "non è Parasite Eve 3", ma perchè "gli manca qualcosa" in termini artistici.

[7,5]

venerdì 20 maggio 2011

I Giorni Del Cielo


Data l'uscita imminente de L'Albero Della Vita, il nuovo film di Terrence Malick, ho pensato di offrire in pochi giorni la mia opinione sulla sua filmografia (non che sia un'impresa titanica, essendo composta da quattro film, escluso l'ultimo in uscita). Partiamo da quel I Giorni Del Cielo che rappresenta la seconda prova da regista dell'ex professore di filosofia, vincitore di un Oscar alla miglior fotografia, di due David di Donatello e del Premio alla Regia del Festival di Cannes nel 1978.

Ambientato agli inizi del Novecento nelle sterminate coltivazioni di cereali del Texas, i Giorni del Cielo racconta la storia di due innamorati, Bill e Abby, i quali, insieme alla sorella di lei, la piccola Linda che è anche la voce narrante del film, lasciano una Chicago sempre più industrializzata e cupa per cercare un nuovo inizio nella terra dei cowboys. Ma gli eventi non si dipanano secondo i loro piani: il lavoro nei campi, pur permettendo loro di vivere più liberamente, è massacrante, e il proprietario della tenuta in cui lavorano si innamora di Abby e la sposa. La relazione tra i due giovani fidanzati però continuerà in segreto, fino al momento in cui tutto crolla: un'invasione di locuste distrugge i campi e i futuri raccolti, Bill viene ucciso e la famiglia si sfalda. Non importa che vi abbia scritto il finale (di per sè non eclatante), perchè i film di Malick offrono molto altro rispetto alla trama, e cercherò di spiegarlo successivamente.

Le opere di Malick in linea di massima vertono si tematiche semplici e storie altrettanto semplici, ma sviluppate e narrate con una grande sensibilità e con attenzione più alle persone che non agli eventi. Ecco quindi che I Giorni Del Cielo non è più sono una storia d'amore, ma diventa lo specchio di una vita (quella agreste) che rappresenta forse la forma di esistenza più vera e vicina all'animo umano, lontana com'è dai movimenti meccanici dell'industria e dalle oppressive atmosfere cittadine di inizio secolo. Quello proposto dal cineasta statunitense è un mondo a metà tra il vero e l'Arcadico, veritiero ma al contempo fantastico, in cui la natura (e i sentimenti umani, verrebbe da aggiungere) emergono in tutta la loro ambiguità e contradditorietà: emblematica è, in tal senso, la continua riproposizione dell'immagine di un falò, segno sia di vivacità (spesso i personaggi la sera ballano attorno al fuoco) che di morte.

La forza del film inoltre emerge non solo dalla rappresentazione di un mondo come quello sopra descritto, che vuole anche essere un messaggio contro la ricchezza distruttrice dell'animo umano, ma anche dalla attenzione del regista per le azioni e le parole pronunciate dai personaggi, mai scontate e in grando di far pensare il fruitore, proponendo ora temi intellettuali, ora palesando lo stato di abbandono e sconforto degli abitanti di un mondo che non permette illusioni.

A rendere ancora più affascinante il mondo proposto concorrono una colonna sonora a tratti ispiratissima scritta da Ennio Morricone (che tuttavia presenta qualche componimento sottotono) e una fotografia veramente sublime, specie nelle sezioni girate poco prima del tramonto, con il cielo azzurro che va perdendosi del rosso dell'imbrunire, sequenze che hanno reso famoso questo film. Da notare che le convincenti interpretazioni di due future star agli esordi, Sam Shepard e Richard Gere.

Secondo me, il miglior film che descrive la vita dei contadini di inizio secolo a pari merito con l'intenso L'Albero Degli Zoccoli di Ermanno Olmi. Certo il film non piacerà a tutti, in special modo per i ritmi dilatati, ormai marchio di fabbrica di ogni film di Malick, ma ci si trova davanti a una vera meraviglia della Settima Arte, almeno dal punto di vista visivo.




[8,5]

iMortacci

Stavo pensando che sarebbe opportuno dedicare una nuova sezione alle app più cool dell'AppStore, in cui vadano ad essere contenute tutte quelle che non sono videogiochi. E mi pare una bella pensata.

Escludendo AppyBunga (che rimane il padre spirituale di questa sezione), ad inaugurare lo spazio sarà iMortacci, app che vuole essere una vera e propria enciclopedia del mortaccione all'italiana, oltre che un modo per farsi due risate.

Sviluppata dall'italiana ApexNet, l'applicazione contiene centinaia di modi di dire, insulti, frasi fatte tipiche delle varie cadenze dialettali del Belpaese, che possono essere ascoltate e fatte ascoltare, con tanto di spiegazione e traduzione in italiano a schermo (essenziale per capire certi modi di dire in sardo, ad esempio).

Carina l'idea di poter votare i mortaccioni preferiti, di registrarne a propria volta e di poterli inviare ai propri amici via social network. A ciò si aggiungano i nuovi mortaccioni che vengono offerti gratuitamente ogni settimana (tra cui potrebbe esserci quello che avete registrato voi).

Il prezzo? è gratis, il che, stante la pressochè totale assenza di utilità di questa App, mi sembra un punto a favore.

lunedì 16 maggio 2011

Metal Gear Solid: Peace Walker


Devo dire di essere alquanto emozionato nel recensire questo gioco, essendo Metal Gear Solid un autentico mostro sacro (non solo per il sottoscritto). Detto questo, facciamo finta di niente e parliamo di questo gioco assolutamente imperdibile.

Uscito circa un anno fa su PlayStation Portable, Peace Walker ci mette di nuovo nei panni di Big Boss un decennio dopo quanto accaduto nel terzo capitolo della saga, Metal Gear Solid 3: Snake Eater.

Quindi ci troviamo nel 1974 e, invece che le foreste di conifere della Russia continentale, il leggendario soldato si troverà nella giugla Costaricana, ingaggiato da un professore universitario che vuole a tutti i costi liberare il suo Paese, stretto nelle morse statunitensi e Sovietiche: le due superpotenze infatti sono intenzionate ad allungare la loro egemonia nel Centro America, al fine di trovarsi avvantaggiati in una ipotetica guerra.

Ma quello che il giocatore si troverà tra le mani non è più il Big Boss conosciuto in Snake Eater: fortemente scosso dopo gli eventi successi in Russia, appare ora come un mero mercenario, disincantato e senza ideali. Solo l'incontro con la giovane Paz e la leader della rivolta Sandinista convincerà il protagonista a farsi coinvolgere nella missione, che lo vedrà sventare una minaccia bellica totalmente differente da quanto si aspettava.

Certo ridurre a poche righe una trama contorta e ricca di sfaccettare quale è quella di ogni capitolo della saga made in Konami non è semplicissimo e si lascia sempre qualcosa per strada, ma dire di più svilirebbe il gusto di trovarsi di fronte a una sequela di trovate e colpi di scena degni della miglior spy-story.
Inoltre, come da tradizione non mancano siparietti comici o sexy, come uno dei primi in cui Snake, con suo sommo sbigottimento, troverà dei "metal gears", o gli omaggi a capolavori del cinema (un solo indizio: Stanley Kubrick).

Parlando del gioco dal punto di vista tecnico, c'è da dire che molto probabilmente ci so trova davanti alla miglior grafica possibile sul portatile Sony, con ambienti dettagliati (seppur quasi sempre di ridotte dimensioni), abitati da una ottima quantità di personaggi non giocanti, senza mai incorrere in rallentamenti, pop-up o bug di sorta. Da rimarcare anche l'aspetto cosmetico, oltre che tecnico, che in alcuni casi regala scorci ispiratissimi e di grande impatto, come il livello ambientato nelle rovine Maya. Sotto questo punto di vista sono assolutamente rimarcabili le cut-scene e il character design in stile fumetto realizzate da Ashley Wood. Sempre sopra le righe (ma ben calato nel setting storico) il mecha design di Yoji Shinkawa.

Sotto l'aspetto sonoro e musicale, Metal Gear Solid: Peace Walker è un riuscitissimo mix tra vecchio e nuovo, con rumori ambientali e bellici ben diversificati e caratterizzati e componimenti sia classici (come l'ormai mitologico tema che risuona ogni volta in cui Boss viene scoperto da un nemico) che scritti appositamente per l'occasione, come la splendida canzone "Heaven's Divide" di Donna Burke, che fa da sottofondo sonoro a una delle sequenze più epiche ed emozionanti del gioco. Da notare, per i "malati" dell'altra grande saga di Hideo Kojima, Zone Of The Enders, la presenza nella colonna sonora di due tracce, rispettivamente dal primo e dal secondo capitolo.

Rimane quindi da trattare l'aspetto ludico. Non mi soffermerei più di tanto su come approcciarsi al gioco, visto che Metal Gear Solid è ormai da anni sinonimo di stealth game.
Iniziamo qundi col dire che Peace Walker è dannatamente longevo, e non tanto per la durata della main quest, quanto per la pletora di missioni secondarie realizzate dal team di sviluppo, che comprendono anche un ingente numero di cacce in stile Monster Hunter. C'è da dire che, a differenza di altri giochi in cui le subquests sono un semplice riempitivo (così fu, ad esempio, per Crisis Core: Final Fantasy VII di Square-Enix), in Peace Walker svolgere almeno una ventina di queste missioni sarà vitale, sia per prendere dimestichezza con i controlli (di cui scriverò più sotto) sia per permettere a Snake di "guadagnare esperienza" al fine di sviluppare nuove e più potenti armi e di arruolare nuovi mercenari tra le file nemiche, essenziali per fare funzionare la Outer Heaven (ricorda qualcosa?) la base operativa dell'esercito messo in piedi da Boss e Kaz, suo collega e amico, e che rappresenta la più grossa novità in tema di gameplay, in quanto riprende e amplifica la parte gestionale e ruolistica già in nuce presente nella passata uscita PSP del brand.
Aggiungerei inoltre che ottima è anche la struttura delle missioni, le quali (tranne rari casi, come i boss fight) non sono mai troppo lunghe, confacendosi perfettamente alla natura portatile di questo capitolo, a differenza del precedente Portable Ops.

I controlli, dicevamo. Qui si inizia a battare il dente che duole, visto i limiti di PSP per quanto concerne il layout dei comandi: mai con in questo caso, si avverte la mancanza di un secondo stick analogico con cui governare facilmente la telecamera (ora non più "a volo d'uccello", ma posta dietro il protagonista, con fasi "a spalla" durante le sparatorie). Verrebbe da dire che ci si trova davanti a un gioco PS3 forzato dentro una PSP, e poche sarebbero le chances di dire una falsità. Tuttavia Kojima Productions ha cercato in ogni modo di venire incontro al giocatore offrendo ben tre modalità di controllo (shooter, caccia e classica), starà al fruitore scegliere il suo preferito e fare un pò di pratica, fondamentale per non trovarsi continuamente davanti al "Game Over" perchè si è perso tempo con la gestione della telecamera o degli item, affidati alle croci direzionali. Riviste in meglio invece le fasi CQC (close quarter combat), ora più intuitive e snelle.

A portare una ulteriore ventata di aria fresca interviene la componente cooperativa, grazie a cui, sfruttando il multiplayer in rete locale, sarà possibile affrontare le missioni fino a un massimo di quattro giocatori.

Chiudendo, si può dire che questo gioco ha due soli difetti: la telecamera (a cui è possibile porre rimedio con un pò di pazienza) e il fatto che prima o poi finisca. Personalmente, lo reputo uno dei migliori capitoli della saga, sia per quanto concerne a trama, veramente toccante nel finale, che a gameplay. Un meraviglioso manifesto pacifista e un pamphlet sullo sviluppo di videogiochi che molti dovrebbero avere per le mani. Hideo Kojima ha fatto di nuovo centro.

[9,5]

Brand New Idol: Il Piccolo Lucio

Il Justin Bieber italiano?

Lucio Vario, un passato da drogato di girelle, qui si cimenta nel suo cavallo di battaglia, "A me me piac'a nutella".
Da rimarcare ulteriori capolavori del neomelò campano quali "Giggino 'O bello" e "A Scuola non ci voglio Andare".



Certo si potrebbe discutere sulla abitudine di certi tizi di farsi soldi e pubblicità (per non dire audience in TV) usando ragazzini, ma non ne ho voglia.

sabato 14 maggio 2011

Basilicata Coast To Coast


Caso cinematografico dell'anno passato, giunto persino a contendere la possibilità di rappresentare l'Italia agli Oscar a film ben più quotati come Io Sono l'Amore e La Prima Cosa Bella, Basilicata Coast To Coast è una commedia diretta da Rocco Papaleo, attore noto soprattutto per film comici e commedie, il quale intelligentemente decide di mettere un pò da parte la sua vis comica per un film che è un vero e proprio atto d'amore per la sua regione.

Prendendo spunto dall'improbabile viaggio organizzato da quattro amici, musicisti per passione, per partecipare a un festival, la commedia on the road di Papaleo diventa un susseguirsi di personaggi e situazioni surreali e una continua proposizione di paesaggi da cartolina. Basti pensare a gag come l'omaggio a Gian Maria Volontè, in assoluto uno dei momenti da me preferiti.

Il film, oltre che per la bellezza della Lucania, si fa notare anche per altri meriti, primo tra tutti un cast a dir poco stellare: Rocco Papaleo, Max Gazzè (nei panni del personaggio più riuscito in assoluto del film, il complessato e taciturno Franco, oltre che autore della canzone dei titoli di coda, la splendida "Mentre Dormi"), Alessandro Gassman, nei panni del divetto da piccolo schermo sul viale del tramonto, e Giovanna Mezzogiorno, improbabile reporter che affianca la band (nota come Le Pale Eoliche) nel tragitto verso la Kermesse.

Essendo protagonista un complesso, non possono mancare siparietti dedicati a sfondo musicale: i quattro musicisti, infatti, coglieranno l'occasione del viaggio per provare il loro repertorio, fatto più che altro di monologhi in musica, alcuni dei quali veramente spassosi, come quello dedicato al Pane e frittata o quello di apertura sulla Basilicata, "sulla cui esistenza si dubita e che è un po' come il concetto di Dio: ci credi o non ci credi".

Eppure...eppure, a mio avviso, al film amnca qualcosa per ergersi a ottimo film dal livello già buono che palesa. Non so dire se ci volessero più gag comiche, qualche colpo di genio nella stesura della sceneggiatura, un ritmo più incalzante (oserei dire che Basilicata Coast To Coast è una commedia con i tempi di un drammatico) o tutti e tre i fattori, ma il film pare incompleto e a volte pare che vada avanti a fatica. Potrei dire che la pellicola intrattiene ma non convince appieno.

Certo, non significa che il film sia venuto malissimo, ma comunque perde parecchia attrattiva. Il mio consiglio è di dargli un'occhiata, anche perchè getta uno sguardo meno convenzionale su alcuni aspetti fin troppo stereotipati del Mezzogiorno italiano.

[6,0]