sabato 29 gennaio 2011

Nine


Il filmone che non t'aspetti.

Personalmente, quando vedo che al cinema o in tv danno dei musical, cerco di evitarli con tutto me stesso. Sovente, perchè le parti cantate sono oltremodo sopportabili e fin troppo appariscenti ed esuberanti, in perfetto stile Broadway.

Nine però è diverso: si canta il giusto, si canta con gusto, e con uno stile che non avevo mai visto in nessun altro musical. Questo non siginifca che manchino lustrini, paiettes e quant'altro, ma che non c'è l'ostentazione della spettacolarità tipica, chessò, di un Moulin Rouge piuttosto che di uno Chicago.

Ispirato a 8 e 1/2, uno dei film più rappresentativi di Federico Fellini, Nine racconta le vicende di Guido Contini, indiscusso maestro del cinema italiano, in un periodo di appannamento artistico. Durante questa crisi Guido dovrà fronteggiare i problemi rappresentati dai paparazzi che lo seguono ovunque vada, dal suo produttore, che lo vuole al lavoro su Italia, quello che dovrebbe essere il nono film del Maestro, e dalle varie donne della sua vita.

Personalmente ho trovato il film, oltre che godibilissimo - per inciso, finalmente un film musicale che non stufa dopo la quarta canzone- anche di pregevole fattura artistica: ottima la regia di Rob Marshall, che si conferma uno dei cineasti di maggior raffinatezza visica, nonchè veterano del cinema-musical (suoi sono infatti Chicago e, esulando dal genere, lo splendido Memorie Di Una Giesha), splendida la fotografia, capace di dare vita a una Roma e ad una Italia che forse non esisteranno più, splendide le scenografie sia artificiali che naturali.

Di livello anche il cast, a dir poco stellare: Daniel Day Lewis nelle vesti di Guido Contini, Sophia Loren nei panni della madre, e poi Fergie, Judi Dench, per non parlare del quartetto rappresentato da Penelope Cruz, Kate Hudson, Marion Cotillard e Nicole Kidman iniettano una grossa dose di bellezza e bravura al film (soprendente l'intepretazione della bionda fidanzata di Matthew Perry mentre canta una delle canzoni meglio riuscite del musical, "Cinema Italiano"). Anche la nutrita schiera di attori nostrani, che comprende i sorprendenti Ricky Tognazzi e Martina Stella, Valerio Mastandrea, Alessia Piovan ed Elio Germano, si difende bene.
Da segnalare, per i meno attenti, un cameo di Dolce e Gabbana vestiti da preti.

Per farla breve, io non posso che parlar bene di questo film. Un difetto, piccolo o grande che sia, non riesco a trovarlo. Forse idealizza troppo l'Italia in senso positivo, ma in un periodo in cui facciamo parlare di noi più per i nostri vizi che per le nostre virtù, ben venga un film che omaggia in modo così sontuoso il nostro Paese.

[9,5]

Hysteria Project


Chissà com'è, ma da un paio d'anni a questa parte i videogiochi (e i relativi sviluppatori) le stanno provando tutte per cercare di far sì che agli occhi dell'opinione pubblica il frutto del loro lavoro paia sempre di più una versione interattiva dei film piuttosto che roba per bambini nutellosi e nerd. Chiari esempi di questa new wave sono Heavy Rain ed Alan Wake, i quali cercano di raggiungere il medesimo obiettivo ma in modi diversi (il primo andando a riesumare meccaniche ludiche vecchie di almeno vent'anni quali sono quelle di Dragon's Lair per poi spacciarle come un'evoluzione del medium, ad esempio). Pure IPhone non si è fatto mancare il suo "film interattivo", il quale risponde al nome di Hysteria Project, prodotto della piccola BulkyPix.

Partiamo col dire che questa app ludica dovrebbe essere una sorta di "episodio pilota" di un progetto molto più ampio, tant'è vero che da qualche giorno è disponibile su AppStore il seguito dell'originario Hysteria Project.

Ludicamente parlando, il prodotto non si discosta molto da Dragon's Lair: la totalità dell'esperienza (che consiste nell'evasione da un capanno in mezzo a un bosco e dalla fuga da uno psicopatico armato d'ascia che cercherà in ogni modo di farci la pelle) è basata sulla pressione di tasti che appaiono per pochi secondi sullo schermo. A volte si potrà scegliere tra alternative, ma di cui solo una consentirà di proseguire nell'avventura, mentre le altre porteranno ad un inevitabile game over.

Come suggerisce il titolo, inoltre, l'app vuole essere in grado di creare suspence e ansia nell'utente, obbiettivo raggiunto con un buonissimo comparto audio, sia per quanto concerne gli effetti sonori che per le assordanti musiche. Giocandoci, mi è parso che BulkyPix abbia fatto suo un insegnamento messo spesso in pratica da Dario Argento nei suoi film, ossia che a spaventare non deve necessariamente essere ciò che vedi, ma ciò che senti, un pò come accade in Suspiria.
Altra caratteristica da rimarcare è che il gioco non ha una grafica nel senso proprio della parola, ma è costituito da una serie di filmati in prima persona. Ovviamente, la qualità del video è quella che è (ossia mediocre tendente allo scarso), ma nulla di così inguardabile.

Fin qui nulla di cui lamentarsi. Certo, il concept di gioco è più vecchio di Matusalemme, fatto a mio discernimento certamente negativo, ma c'è da ammettere che si adatta bene alla natura "mordi e fuggi" del giocare su IPhone. Il problema è la qualità dei video (alcuni cellulari dotati di videocamera di media fascia garantiscono una qualità di molto superiore), la durata dell'esperienza -che terrà occupati per circa una mezzora- ma soprattutto il prezzo di lancio di questa applicazione. Io sono stato fortunato ad aver approfittato dell'offerta gratuita di qualche giorno fa, ma immagino il livore provato da chi ha avuto l'infausta idea di comprarlo per 1,59 Euro, un prezzo eccessivamente alto se pensiamo che ci sono giochi molto più longevi e meglio sviluppati a metà prezzo.

Ora, in chiusura, dovrei rispondere alla fatidica domanda "ma è un film interattivo come promettono gli slogan pubblicitari?". La mia risposta è se credete nel fatto che bastino un pò di filmati intervallati dalla pressione di qualche tasto (quindi zero enigmi, zero dialoghi e zero tanta altra roba) bastino a rendere qualcosa di simile a un film. La mia risposta è no se la pensate diversamente. E io, sinceramente, la penso diversamente: l'idea non è male, ma vecchia di vent'anni.

[5,0]

mercoledì 26 gennaio 2011

Hitler's Corner 4 - TruceBaldazzi

Dopo lunghissima assenza, torna la rubrica che riunisce i video più divertenti realizzati con lo spoloquio di Hitler nel film La Caduta.
Oggi il Fuhrer se la prende con TruceBaldazzi, ventenne pseudo rapper divenuto, come altra gente tipo Gemmadelsud, i crazy frog brothers o quella che piangeva perchè aveva perso il motorino, uno dei fenomeni da baraccone di maggior successo di Youtube. Ovviamente, senza una reale motivazione, se non il fatto che facciano ridere i polli.

Enslaved: Odyssey To The West


Qualcuno faccia sapere a Ninja Theory che non basta una sontuosa veste artistica o una buona trama per fare un videogioco. Dico questo non per disprezzo, perchè le potenzialità del team ci sono e si vedono, ma finchè non capiranno che l'aspetto ludico deve essere preponderante rispetto alla cosmesi, rimaranno degli eterni incompiuti.

Tra gli aspetti meglio riusciti del gioco bisogna sicuramente inserire la trama, frutto della penna dello sceneggiatore di The Beach e 28 Giorni Dopo, ripresa da una leggenda cinese e inserita in un contesto futuristico post-apocalittico, in cui vestiremo i panni di Monkey, un uomo preso prigioniero da una organizzazione schiavista chiamata Pyramid, riuscito a fuggire dalla nave volante che lo stava trasportando verso una destinazione ignota il quale, con l'aiuto/minaccia della giovane Tripitanka, intraprenderà una vera e propria odissea prima verso il villaggio della rossa co-protagonista, poi verso la sede di Pyramid, per scoprire la verità sulle misteriose finalità dell'impresa. Il finale del gioco è assolutamente strabiliante e non mancherà di spiazzare e lasciare piacevolmente sorpreso il giocatore. Nel vederlo, mi è balenata nella testa una scena di Matrix, ma non dico null'altro per non rovinare quello che è l'aspetto più scintillante del prodotto Namco.

Molto belli anche gli scenari di gioco, con scorci assolutamente fenomenali, come il villaggio tra le montagne o la decadente New York invasa dalla vegetazione.

Purtroppo, i punti forti dell'offerta sono tutti qui, e sono stato fin troppo buono, se pensiamo che alcuni elementi dello sfondo e delle strutture di gioco si caricano in netto ritardo rispetto agli altri (problema classico dell'Unreal Engine, il motore grafico che muove il gioco, diranno i supporters, fatto sta però che la cosa non è assolutamente gradevole) e che le ombre dei protagonisti sono inguardabili, per quanto squadrate appaiono. Due difetti non da poco che vanno ad intaccare la bellezza visiva di Enslaved. A rincarare la dose ci si mette un sonoro tecnicamente non all'altezza (sintomo di poca cura nelle fasi finali dello sviluppo) ed eccessivamente ripetitivo, tanto negli effetti sonori quanto nella musica che accompagna gli eventi.

Pure i personaggi non sono granchè: Monkey è un incrocio tra Robbie Williams (esempio di "maschio attraente" per il team di sviluppo) e il cantante degli Empire Of the Sun, Tripitanka esteticamente è bellissima, ma sembra la cugina con le lentiggini di Nariko, main character della precedente fatica dello studio statunitense, Heavenly Sword; Pigsy è l'unico personaggio ben caratterizzato, ma talmente odioso e protagonista di momenti assolutamente inconcepibili e inserite solo per allungare la brodaglia (di per sè nemmeno lunghissima, in 10-13 ore si chiude la pratica, in linea con la maggioranza delle produzioni odierne).

Ma la cosa più imbarazzante di Enslaved, al di là di problemi tecnici e un cast non all'altezza, è il suo gameplay. Se già il livello di sfida è pressochè inesistente, tra segnali luminosi che indicano la via da seguire, nemici poco impegnativi e boss Fights senza intensità (c'è da ammettere che Ubisoft in questo campo ha fatto scuola), ancora più triste è la struttura platform, ripresa un pò da Prince Of Persia e un pò da Uncharted, solo molto più banalizzata. Certo, alcune trovate sono molto carine (come la possibilità di cooperare con Trip per superare determinate sessioni o i poteri magici della Nuvola e del Bastone di Monkey), ma troppo marginali per influire in modo incisivo sul gioco. Decisamente meglio la fase shooter, che comunque non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto proposto da un Gears Of War qualunque. Se pensiamo che all'E3 gli sviluppatori se ne uscirono dicendo "Enslaved sarà colorato come Super Mario Galaxy, Realistico come Gears Of War e dinamico come Uncharted", non si può bollare la loro dichiarazione come un epic fail.

Spezzando una lancia a favore del gioco, c'è da dire che comunque l'esperienza di gioco è gradevole, e che il mistero di Pyramid potrebbe rappresentare più di un pretesto per continuare a giocare. E' innegabile tuttavia che Enslaved: Odyssey To The West rappresenta un'occasione persa, con un pò di cura in più sarebbe stato un gioco ottimo, e non solo la mediocre copia carbone di altri giochi che è.

[7.0]

sabato 22 gennaio 2011

Non Lasciarmi


E' strano come un'opinione possa mutare in modo così repentino mentre si legge un libro. Mi fosse stato chiesto solo due giorni fa quale fosse la mia impressione su questo libro di Kazuo Ishiguro, non avrei esitato a stroncarlo senza pensarci due volte. Eppure, le ultime quaranta pagine, con la loro delicatezza e il loro carico di profonda malinconia hanno cambiato di molto il mio giudizio.

Mi pare però importante smorzare gli entusiasmi: Non Lasciarmi non è un capolavoro. Anzi, ha dei difetti piuttosto evidenti, tanto nello stile di scrittura, molto ripetitivo e dai ritmi dilatati - tanto che per la maggior parte di questo romanzo distopico sembra quasi di trovarsi a leggere una sorta di radiocronaca delle esperienze di vita della protagonista -, che nel mondo immaginato dall'autore, un mondo in cui alcuni cloni sono utilizzati solo ed esclusivamente per donare organi. Non voglio dilungarmi molto sulla trama, ma molte volte il lettore si domanderà (a ragione) che senso abbia un sistema come quello ipotizzato dallo scrittore giapponese.

Tuttavia, l'assurdo mondo messo in piedi dall'autore di Quel Che Resta Del Giorno è funzionale al messaggio che si vuol trasmettere, un messaggio inerente la fugacità della vita, l'inesistente possibilità di scegliere da sè il proprio futuro, in cui ci si chiede quanto sia giusto spingersi oltre per il bene dell'umanità pur sacrificando una parte di essa o quanto peso reale abbiano i sentimenti nel mondo moderno.

I temi, quindi, non mancano e sono trattati con dovizia e attenzione. Ciò non toglie che il libro sia dotato di una lentezza tale da avvicinare alla noia e da non invogliare mai alla lettura. Posso comprendere che Ishiguro volesse trasmettere una sensazione di drammaticità, di predestinazione e malinconia, ma quando questo va a discapito della fruizione del libro, in mia opinione, qualcosa non va.

C'è chi ha paragonato Non Lasciarmi ad altri grandi romanzi distopico-fantascientifici come Fahrenheit 451, Solaris o 1984, ma secondo me si commetterebbe un grosso sbaglio. In primo luogo perchè l'opera qui in recensione non ha come punto focale una situazione o un ambiente futuribile (anzi, fosse per quello, questo libro uscirebbe con le ossa rotte da un ipotetico scontro con i lavori di Bradbury, Lem e Orwell), ma punta il proprio obiettivo sui sentimenti umani e sull'amicizia che lega i personaggi principali. Secondariamente, perchè non ha la verve e la forza narrativa dei romanzi qui presi a paragone.

Non fosse per gli struggenti capitoli finali, lo avrei premiato con una sufficienza rosicata

[7,0]

Piccola nota sulla traduzione: Non capisco perchè vada di moda tenere all'interno del libro parole o epiteti in inglese per il solo gusto di fare figura. Perchè mantenere "playing field" e non tradurlo con "campo da gioco"? Non si tratta di neologismi o espressioni proprie della lingua inglese, quindi perchè non vengono tradotti?

martedì 11 gennaio 2011

Game Dev Story

ITunes ogni giorno che passa offre sempre più apps interessanti e giochi di livello sia ludico che tecnico, basti pensare a prodotti come Chaos Rings, Infinity Blade o il porting di Grand theft Auto: Chinatown Wars. Oltre ai titoloni e alle megaproduzioni, però, l'appstore offre decine e decine di giochi che, pur non godendo di uno studio di sviluppo alle spalle pari ad Epic Games o Square Enix, o non avendo un engine grafico che sfrutta l'ormai abusatissimo Unreal Engine, sono comunque capaci di stagliarsi al di sopra della massa e divenire dei piccoli cult. Game Dev Story fa sicuramente parte di questa categoria.

Il gioco (che, tecnicamente parlando, è un chiaro omaggio al videogioco anni '90, con una grafica deliziosamente 16-bit con visuale isometrica) appartiene al genere dei gestionali e mette il giocatore nei panni del CEO di una software house, con onori (e oneri) connessi a tale posizione, sia sul lato meramente lavorativo che finanziario.

Si comincerà in una stanzetta grande poco più di uno scantinato e con un paio di collaboratori e, release dopo release, sarà possibile ampliare la sede, assumere nuovi talenti e sviluppare giochi sempre più evoluti e complessi, per non parlare della possibilità di creare la propria console. Il tutto, ovviamente, tenendo sott'occhio le spese e gli investimenti.

Per quanto concerne le meccaniche di gioco, la fase di sviluppo si svolge in quattro fasi, similmente a quanto avviene nella realtà: nella fase pre-alpha si decide il genere (RPG, sparatutto, sportivo...), il tipo (robot, formula 1, guerra...) e si affida a un planner la scrittura del prospetto di sviluppo. Nella sessione successiva, la Alpha, lo studio si concentrerà sulla componente ludica e alle innovazioni, passando alla Beta, ci si occuperà della grafica e del suono. Infine, entrati in fase gold, si procederà al debugging e alla correzione delle imperfezioni.

Ovviamente, per far sì che la vostra ultima creazione venda, sarà necessario conquistare l'attenzione dei fans, generando Hype e creando fama attorno al progetto. Come raggiungere l'obiettivo se non attraverso una imponente campagna marketing, o coinvolgendo artisti e musicisti di livello internazionale affidando loro in outsourcing parti del prototipo del videogame?

Una volta completato lo sviluppo, si dovrà fare i conti con la stampa specializzata che, a suon di recensioni e opinioni di volta in volta positive o negative, potrà affossare o dare ancora maggiori chances di vendita alla vostra creatura.

Inoltre, le principali caratteristiche e gli appuntamenti che scandiscono il mondo dei videogiochi sono riprodotte alla perfezione: dalle press conferences dei diversi costruttori, all'E3 (qui ribattezzato Gamedex) fino ai recenti Video Game Awards. Tra l'altro, molti dei protagonisti del videogioco rappresentano la parodia di industrie e personaggi che hanno fatto (e fanno) la storia di questo business: basti pensare a Senga, Intendro (chiari richiami alle storiche rivali Sega e Nintendo) o a tizi chiamati Shigeto Minamoto o Steve Jobson. La cosa non può fa altro che dare una spolverata di ironia a un gioco che, di per sè, sarebbe già di livello.

Pur tendendo ad essere ripetitivo sul lungo periodo, come avviene con la gran parte dei gestionali, anche a causa di un sistema di gioco molto elementare -ma altrettanto letale, ad onor del vero- Game Dev Story ha comunque la capacità di creare dipendenza, spingendo il giocatore a sfruttare ogni ritaglio di tempo libero ad occuparsi della sua software house, anche grazie a una serie di mete che dovranno essere raggiunte durante i mesi di gioco, dalle nuove assunzioni alla formazione del personale, passando poi dalle trattative volte ad ottenere la licenza per sviluppare su una console fino allo stadio finale, ossia dominare il mercato hardware con la piattaforma di gioco creata dal proprio studio. Personalmente negli ultimi due mesi ho usato l'iPhone più per giocare a Game Dev Story che per telefonare, il che è tutto dire.

[9,0]

domenica 9 gennaio 2011

Una caduta di stile inaspettata

Per dirla più profana, il nostro Presidente della Repubblica non ha centrato la tazza.

Da qualche giorno sono iniziate le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia e Giorgio Napolitano sta presenziando e tenendo conferenze un pò dovunque. Giusto ieri, mentre si trovava a Ravenna, il PdR se ne esce con una frase che mi ha lasciato alquanto spiazzato, a maggior ragione detta da un uomo che, da quanto riveste il ruolo di Garante della Costituzione, non aveva mai parlato a sproposito. In poche parole, il Presidente si è augurato che anche il Nord (rappresentato nel discorso da città come di Milano, Venezia e Verona) "abbiano coscienza di come divennero italiane".

Chiaro il riferimento alla Lega Nord che spinge per il federalismo. Ma c'è un "Ma".

Doverosa Premessa: ritengo possibile che la mia polemica sia vuota e inutile, ma ciò non toglie che l'ex Senatore a vita abbia fatto una gaffe, e lo dico da italiano.

Dicendo ciò che ha detto, Napolitano ha dimenticato che, se l'Italia oggi è uno stato unitario, lo si deve essenzialmente al nord e a città come Torino, Bergamo, che dice circa 800 delle 1031 Camice Rosse garibaldine, e Milano, le cui Cinque Giornate furono determinanti nel convincere il Regno di Sardegna a guerreggiare per l'indipendenza.

Parlando in quella maniera, inoltre, sembra quasi voglia suggerire che il Sud sia concorde e felice dell'Unità. Cosa palesemente falsa, basti vedere le correnti revisioniste e separatiste che ultimamente hanno molto seguito in Sardegna (Michela Murgia, anyone?) e nella Campania. Mica sono nati oggi gli indipendentisti sardi o i vari partelli secessionisti.

Dal punto di vista letterario, Pino Aprile e il suo Terroni sono un caso emblematico: Un libro in cui si punta il dito contro la conquista piemontese e sulle (presunte) responsabilità della classe dirigente dell'epoca sulle attuali condizioni del Mezzogiorno. Ovviamente, si critica trascurando i più urgenti e impellenti problemi dell'allora neonato Stato e sul "perchè" si sia attuata una piemontesizzazione e non una italianizzazione.

Oltretutto, il volgo pare convinto che il crollo del Regno di Napoli sia stato un dramma per il Sud, visto che i Savoia "gli hanno rubato i soldi" e che "erano uno dei Regni più moderni d'Europa". Vero, se crediamo alle favole.

Il Regno di Napoli era il regno più arretrato e corrotto d'Italia (purtroppo, le cose non è che siano cambiate poi di molto in un secolo e mezzo), con una popolazione il più delle volte ridotta alla fame. Avranno avuto un bel pacco di soldi, ma erano nelle mani dei Borboni e dei potentati, non certo del popolino; se mi è permessa una battuta, o la situazione stava così, o già all'epoca gli amministratori campani non si distinguevano per capacità di gestione economica ed efficienza.
Tra l'altro, la storia ci racconta che negli ultimi giorni di quel Regno Ferdinando IV, stretto dai Garibaldini a Sud e dall'avanta piemontese a Nord, strinse accordi con la camorra per tentare di fronteggiare i nemici, dato che l'esercito (che, standop ai revisionisti, doveva amare tantissimo la Patria, prosperosa e magnanima) s'era ammutinato. Viva la modernità.

Riassumendo, il buon Napolitano, secondo me, poteva evitare la sua uscita. Certo qualcuno potrebbe pensare che la mia sia una polemica senza senso, ma stamattina mi andava di fare la Susan Okin della situazione. La verità forse è che l'Italia non sarà mai veramente unita, divisa com'è da campanilismi secolari.

venerdì 7 gennaio 2011

AlekAwards 2010

Dopo il successo di critica e pubblico (...) dello scorso anno, torano i premi meno ambiti ma più esclusivi del mondo telematico!

UOMO DELL'ANNO: JULIAN ASSANGE (AUS,tecnologia, politica)



L'uomo dietro WikiLeaks da semplice hacker informatico è diventato la nemesi delle diplomazie di mezzo mondo e delle IMN. Pure l' accusa per stupro pare più che altro un tentativo di screditarlo alla luce del mondo e una scappatoia per sottoporlo a un processo politico. Nonostante abbia dubbi sulla sua missione di trasparenza e verità, merità il mio premio.

Runners up:
Mahmoud Ahmadinejad (IRN,politica)
Mark Zuckerberg (USA,tecnologia)
Josè Mourinho (POR,sport)

DONNA DELL'ANNO: SAKINEH ASTIHANI (IRN,crimine)



La pezzuola da sventolare da parte dei perbenisti di mezzo mondo per rivendicare diritti per le donne e fantoccio divenuto simbolo della crudeltà del diritto e del potere iraniano. Nonostante decine di donne muoiano in tutto il mondo pur essendo realmente innocenti , il mondo perde la testa dietro una assassina fedifraga, alla faccia del principio di non intervento nelle questioni interne di uno stato.

Runners Up:
Aung Saan Suu Kyi (MIY,politica)
Hillary Clinton (USA,politica)
Tina Fey (USA,spettacolo)

FILM DELL'ANNO: LA PRIMA COSA BELLA (ITA)



Secondo me, questo è un di quei film che solo noi italiani sappiamo fare: nessuno come noi sa descrivere le gioie e le tragedie della vita, il tutto non perdendo d'occhio l'innocenza e l'ingenuità tipiche della commedia all'italiana. E dovremmo esserne tutti orgogliosi, anche se temo che l'Oscar se lo beccherà "Il Riccio".

Runners Up:
Tra le Nuvole (USA)
An Education (UK)
Il Riccio (FRA)

VIDEOGIOCO DELL'ANNO: METROID OTHER M (JPN,Wii)



L'ennesima rinascita di Metroid ha l'aspetto nuovo del wiimote ma l'anima del Nes: un gioco che sa coniugare il passato col presente e il nuovo con il vecchio, nonchè un'ottima base per il futuro di Samus Aran.

Runners Up:
Dragon Quest IX (JPN,Ds)
Fragile Dreams: Farewell Riuns Of The Moon (JPN,Wii)
Gran Turismo 5 (JPN,PS3)

ALBUM DELL'ANNO: "FLAMINGO" DI BRANDON FLOWERS (USA)



Con il temporaneo abbandono dei The Killers, il rocker mormone se ne esce con un album intimo e personale, capace essere diverso ma egualmente potente dei lavori della sua band. La recensione qualche post più indietro.

Runners Up:
"Love" degli Angels & Airwaves (USA)
"This Is War" degli 30 Seconds To Mars (USA)
"Quindi?"di Max Gazzè (ITA)

LIBRO (letto) DELL'ANNO: "Q" DI LUTHER BLISSETT



A differenza delle altre categorie, ho premiato un libro non di quest'anno solare perchè raramente seguo il calendario delle uscite letterarie (unico romanzo del 2010 è quello di Ken Follett, che nomino soltanto a causa del fatto che non l'ho ancora finito). Comunque, secondo me siamo dinanzi a uno dei più grandi romanzi italiani del Novecento, forte come una palla di cannone, trascinante come l'impeto di un fiume, antico e al contempo moderno.

Runners Up:
"Fahrenheit 451" di Ray Bradbury
"La Caduta Dei Giganti" di Ken Follett
"Il Coperchio Del Mare" di Banana Yoshimoto

FUMETTO DELL'ANNO: "VINLAND SAGA" DI MAKOTO YUKIMURA



Non ho letto moltissimo sia per carenza di denari che per mancanza di tempo, ma se dovessi fare un nome, citerei questo, ed anzi è strano che non l'abbia ancora recensito. Una storia di sangue e vendetta in un contesto storico magnificamente riprodotto. Veramente da non perdere.

Runners Up:
"Bakuman" di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata,
"GTO Shonan 14 Days" di Tohru Fujikawa,
"Hiroshima: Nel Paese Dei Fiori" Di Ciliegio di.

PROGRAMMA TELEVISIVO DELL'ANNO: 30ROCK (USA,SkyUno)



Una delle migliori esclusive Sky. Serie di culto negli Stati Uniti, 30 Rock si presenta come una satira feroce, brillante e intelligente della televisione e della società americana, pur non disdegnado qualche gag messa lì solo per far ridere.

Runners Up:
"FlashForward" (USA,Fox/Italia 1)
"Vanguard" (ITA,currentTV)
"I Promessi Sposi" (ITA,Rai Uno)

SPORTIVO DELL'ANNO: JOSE' MOURINHO (POR,calcio)



Lo Special One si porta a casa il premio grazie allo storico tris di trofei conquistati con l'Inter. E' mia idea che senza il portoghese, la squadra di Milano non avrebbe ottenuto tutto ciò che a messo in bacheca. Grande allenatore e grande comunicatore, era forse la star più brillante della Serie A dello scorso anno.

Runners Up:
Sebastian Vettel (GER,Formula 1)
Andres Iniesta (SPA,calcio)
Antonio Fuentes (SPA,ciclismo o presunto tale)

FATTO DELL'ANNO: LE RIVELAZIONI DI WIKILEAKS (politica)



Il 2010 è l'anno della ascesa alla ribalta di WikiLeaks, che con i suoi scoop prima inerenti alle malefatte delle guerre in Iraq e Afghanistan e poi alle opinioni della diplomazia americana sui leader di tutto il mondo, ha fatto tremare più un polso tra Washington, Roma e gli altri centri di potere. Tant'è vero che si escogita ogni modo per metterlo Ko.

Runners Up:
La Crisi di Irlanda, Grecia e Portogallo (economia)
Il Crollo della Domus di Pompei (cultura, o quel che ne rimane)
I moti per le riforme in Francia, Italia e Inghilterra (politica, economia)

(500) Giorni Insieme


Voglio essere schietto: un film che pare con una nota che dice: "Gli eventi e le persone, viventi e defunte, presenti in quest'opera sono tutte opera dell'immaginazione dell'autore. Soprattutto tu, Jenny Beckman. Stronza" non può che avere qualcosa di speciale. E questo lo ha. Non tanto per i temi affrontati -seppur il film si prodoghi nel dichiarare il contrario, ci troviamo davanti a una commedia romantica, dall'incontro tra i due innamorati fino al crollo del rapporto-, ma per alcune caratteristiche veramente azzeccate. Quali Sono?

Anzitutto, il ribaltamento dei personaggi: nella stragrande maggioranza dei film di genere, è l'uomo quello che teme i vincoli posti da un eventuale rapporto, che si fa beffe dei sentimenti dell'amata. Qui avviene l'esatto opposto: Tom, interpretato da Joseph Gordon Lewitt, è il sognatore, quello che pensa che non sarà mai veramente felice se non co una ragazza al suo fianco, visione della vita derivatagli " da una precoce esposizione al pop inglese malinconico e da una lettura totalmente astrusa del film Il Laureato"; Sole (che ha le fattezze dell'incantevole Zooey Deschanel) è invece l'individualista, colei che fugge dai legami troppo stretti e che gioca con il cuore del protagonista maschile. Aggiungerei inoltre che i due sono perfettamente calati nella parte, il che rende il tutto più credibile e coinvolgente. E già siamo a uno.

Altro elemento che rende unico il film, prima ancora di altri a mio personalissimo giudizio, è la colonna sonora, veramente mozzafiato, capace di spaziare dalle canzoni popolari al rock elettronico dei Temper Trap (la loro Sweet Disposition sembra letteralmente cucita addosso al film), passando per Wolfmother, il pop ricercato di Regina Spektor e, soprattutto, per il rock ora malinconico, ora quasi burlesco dei The Smiths (Dio li abbia in Gloria), permettendosi anche citazioni a Ringo Starr, Belle & Sebastian e Bruce Springsteen. Da amante della band di Morrissey ho apprezzato ancora di più l'opera del regista Mark Webb. Era dai tempi di Elizabethtown di Cameron Crowe che non vedevo un film in cui la colonna sonora aveva una così ampia valenza nell'economia generale del prodotto.

Passando oltre, non si può non elogiare il montaggio di (500) Giorni Insieme, che racconta le vicende di Sole e Tom attraverso digressioni o balzi in avanti, capaci dare movimento a un racconto che, fosse stato riproposto cronologicamente, avrebbe forse annoiato. In quest'ottica, già i primi quindici minuti di film sono illuminanti: Incipit, titoli di testa, immediatamente al giorno (299), con Tom im preda a una crisi d'abbandono, ritorno al giorno (1) con Lui che incontra Lei. Ottima idea, risultati esaltanti.

Da segnalare anche alcuni scambi di battute sul geniale andante, come quelli scambiati da Tom e il suo amico Paul su dei "lavoretti"; i tentativi (goffi peraltro) di Tom di attirare l'attenzione di Sole; le macchinazioni del protagonista sulla natura della sua relazione con Lei.

Infine, tante chicche sparse qua e là per l'opera non possono che far piacere ai cinefili di lungo corso o, semplicemente, ha gusto per le piccole cose capaci di dare personalità a un film: dall'inizio mockumentaristico, alla sessione quasi da cinema surreale recitata in francese e tedesco, alla trovata visiva di indicare lo svilupparsi del rapporto con disegni ora colorati, ora monocromatici.

Pur non essendo il sottoscritto un grande amante dei film romantici, non posso che parlare bene di (500) Giorni Insieme, soprattutto in virtù della pletora di pregi che ho esposto nell'articolo. Se non ci fosse stato The Onion Movie, sarebbe la mia personalissima sorpresa cinematografica dell'anno appena trascorso.



[8,0]

domenica 2 gennaio 2011

Flamingo


Tracklist:
1 Welcome to Fabolous Las Vegas 4:47
2 Only The Young 4:18
3 Hard Enough 4:04
4 Jilted Lovers & Broken Hearts 4:40
5 Playing With Fire 5:47
6 Was It something I Said? 3:19
7 Magdalena 3:18
8 Crossfire 4:16
9 On The Floor 3:22
10 Swallow It 2:56

Divenuto una star internazionale con la band The Killers, di cui è cantante, autore e, in fin dei conti, frontman, Brandon Flowers nel 2009 decide di dedicarsi a un progetto solista parallelo rispetto a quello della band, con alla produzione Daniel Lanois, produttore del mitologico Joshua Tree degli U2. Il frutto di quel lavoro è Flamingo, album uscito quest'anno e anticipato dal brano Crossfire, nel cui video il cantante recita accanto a Charlize Theron.

C'è da dire che le differenze rispetto ai lavori dei Killers si nota subito: meno derive elettroniche, suono più pulito e tradizionale, testi molto più intimisti e personali, in alcuni casi superiori a quelli già molto belli scritti dallo stesso Flowers per la sua band. Anzi, direi che se proprio si vuol trovare un punto di contatto con la discografia della band, lo si può individuare in Sam's Town , album controverso (almeno per la critica) e contenente alcuni di quelli che sono in assoluto tra i migliori brani della band, come Read My Mind e When you Were Young.

I temi dell'album sono essenzialmente tre: la città di Las Vegas in primis, a cui Flowers è molto legato, essendovisi trasferito per tentare la fortuna come musicista e, per ironia della sorte, emblema di quasi tutto ciò che la religione del cantante ripudia, essendo lui mormone praticante. Gli altri due temi forti del disco sono la religiosità e la spiritualità, come testimoniano le canzoni Magdalena, dedicato al pellegrinaggio nell'omonima cittadina, e On The Floor, e l'amore, che trova massima espressione nelle tre forse migliori canzoni dell'album: la già citata Crossfire, Jilted Lovers & Broken Hearts (stupenda) e Hard Enough, cantanta in duetto con Jenny Lewis e dedicata dal cantautore alla moglie, spesso lontana per obblighi lavorativi.

La qualità delle canzoni, sia sul versante "testuale" che musicale, è sempre di livello, forse l'unica canzone che stona col resto dell'opera, perchè troppo pop e leggera, è Was It something I Said? , che non sono mai riuscito a farmi piacere.

Chiudendo, non posso che promuovere con ottimi voti l'esordio solista di Brandon Flowers: solitamente quando il frontman di una band di grido si dedica a un progetto del genere, ne esce quasi sempre un prodotto trascurabilissimo, spesso lontano dalle qualità espresse nella band di appartenza. Con Flamingo ciò non accade: l'autore ha saputo proporre qualcosa di diverso, più personale come già sottolineato, ma altrettanto valevole dei capolavori scritti con i The Killers. Se ne avete l'occasione, concedetegli un'opportunità.

[8,5]

Alice In Wonderland


Bella, bella, bella cagata.

Mi sono avvicinato al film indubbiamente con aspettative altissime (fattore che potrebbe aver condizionato la mia opinione), essendo Tim Burton uno tra i miei registi preferiti. Non che il film sia da buttare, ma ho avuto come l'impressione che tutti, da Burton fino agli attori di punta si siano limitati al compitino. Cercherò di spiegare perchè.

Partiamo col dire che, pur trattando temi simili alle celeberrime opere di Lewis Carroll, l'Alice burtoniana vuole essere una sorta di sequel dei romanzi succitati, in cui però non devono andare persi i tratti salienti e le metafore dell'originale, come l'importanza della crescita e della scopertà di sè stessi.

L'azione si svolge con una protagonista alla soglia dei diciannove anni, imbrigliata in una società fatta di regole severe, cerimoniali da seguire e obblighi pressanti, una società in cui la giovane non si riconosce. In seguito a una crisi dovuta da una proposta di matrimonio, la fanciulla fa ritorno nel Paese delle Meraviglie (del cui primo viaggio non ricorda nulla) per adempiere a una antica profezia.

Non che la trama, per quanto non brilli di spunti originali, sia da buttare, ma tutto ciò che accade sullo schermo dà una sensazione (ovvia) di dejà-vù, situazione peggiorata da un ritmo degli eventi da narcolessia e da dialoghi scontati e prevedibili.

Anche uno dei punti forti di pressochè tutti i precedenti lavori del cineasta di Burbank, ossia la scenografia e, in generale, l'aspetto artistico del film, si rivela al di sotto delle aspettative e fin troppo didascalisco: pare che ormai il contesto da "favola nera" tanto amato dal regista abbia perso la sua capacità di affascinare e sorprendere, come più di una volta era avvenuto in passato. Anche i grotteschi cortigiani della Regina di Cuori, emblema del trasformismo della nobiltà coeva a Carroll, sono fin troppo banali. Non è nemmeno nascosta l'impressione che, per Alice in Wonderland, Burton abbia optato per una via meno autoriale e più commerciale, visti gli ingenti investimenti e l'ingombrante presenza di Disney in veste di produttore.

Parlando della recitazione, poi, a parte l'interpretazione accettabile di Johnny Depp (attore feticcio di Tim, insieme ad Helena Bonham Carter, sua compagna) le altre prove d'attore sono sul deludente andante: Anne Hathaway, a dispetto del grande talento di cui è dotata, sembra un'attricetta alle prime armi, monoespressiva e persino irritante nell'interpetare la Regina Bianca; Helena Bonham Carter ormai vive degli spazi che il marito le ritaglia in ogni suo film; Mia Wasikowska, etera e diafana Alice, non va oltre due espressioni per tutti i 110 minuti della pellicola.

Penso che la frase iniziale di questo pezzo dica molto di ciò che ho pensato appena la trasmissione è terminata. La delusione è stata tanta e cocente. Il successo mietuto in tutto il globo dal film (è il sesto film della storia a superare il miliardo di dollari incassati) pare frutto più che altro della campagna marketing e dal peso dei nomi coinvolti nel progetto, non dalle qualità di un'opera che, pur potendo contare sull'apporto di uno dei registi più ecclettici e riconoscibili del panorama internazionale e su un cast di rilievo, potrebbe essere confuso per uno dei tanti fantasy post Harry Potter e post Il Signore degli Anelli di pessimo gusto che hanno fatto capolino nelle sale cinematografiche nell'ultimo lustro.

[5,0]