sabato 30 gennaio 2010

Sostiene Pereira


Prima di tutto, devo ammettere di trovarmi un pò a disagio nello scrivere questa opinione. Ciò perchè il libro è veramente bellissimo, anzitutto, e poi perchè temo di non esserne in grado, ma ci proverò comunque.

"Sostiene Pereira" (parole che aprono e chiudono ogni capitolo e che vengono ossessivamente ripetute durante tutto il libro, come se a parlare fosse un uomo di Legge che si fa portavoce del protagonista) racconta le vicissitudini personali del dottor Pereira, giornalista di un piccolo quotidiano di Lisbona, nei giorni dell'Agosto 1938, nel pieno della Guerra Civile spagnola e dell'ascesa del Regime dittatoriale salazarista in Portogallo.
Pereira (di lui sappiamo solo il cognome e il titolo di studio) è dipinto come un uomo estremamente abitudinario, infelice, vedovo e schivo, che fa di tutto per non immischiarsi nelle faccende politiche che stanno sconvolgendo il paese e l'Europa, dedicandosi alla traduzione di racconti dell'Ottocento francese per il giornale in cui lavora. La sua tranquilla esistenza è però sconvolta sia esteriormente, grazie all'incontro con Francesco Monteiro Rossi e la sua fidanzata, per cui proverà sin da subito un forte attaccamento, quasi genitoriale, sia interiormente, con l'avvento del Dottor Cardoso, suo medico durante un ricovero in clinica, che gli proporrà una teoria sull'anima che cambierà totalmente le prospettive del protagonista, come sveleranno gli eventi finali del libro.

Oltre a ricostruire ottimamente l'ambiente e l'atmosfera oppressiva del Portogallo di inizio XX secolo, rendendo il libro una sorta di romanzo di denuncia civile -a dire il vero ancora oggi attualissimo, nonostante sia stato scritto nel 1994-, il romanzo si concentra parecchio sull'evoluzione psicologica di Pereira, riprendendo così il tema della psicanalisi che andava per la maggiore negli anni '30, citando Frued e i medicins-philosophes, che avranno un ruolo determinante in tutta la vicenda. Oltre a ciò, altri temi che faranno da contorno alla vicenda sono la nostalgia del passato (che fa contraltare alla situazione del '38), la morte e l'ipotetica vita successiva ad essa, ma anche il prezzo della libertà, oltre che la debolezza fisica e intellettuale dinanzi allo scorrere imperterrito della Storia. Proprio questo tema ha un'importanza fondamentale, soprattutto nella parte centrale del romanzo, in cui Marta (la fidanzata di Monteiro Rossi) lancia un messaggio forte e che Pereira farà involontariamente suo solo nel finale: la Storia siamo noi, e tutti possiamo parteciparne attivamente alla stesura.

Per quanto riguarda lo stile e il lessico, si può solo far notare che il linguaggio è semplice e il periodare scorrevolissimo. Come già citato, da notare l'ossessivo utilizzo delle parole "Sostiene" e "Pereira" e il saltuario uso di frasi tipiche del lessico dei tribunali. Verrebbe da chiedersi davanti a quale Tribunale stia deponendo Pereira (o chi per esso): In mia opinione, Pereira parla dinanzi ai Giudici dell'umanità tutta, in essa comprendendo la Storia (in questo modo Tabucchi cerca di dare dignità a tutti i Pereira della storia, che magari con piccoli gesti hanno contribuito a un nuovo ordine di cose), La giustizia umana (lettura che si va a riannodare alla ricostruzione storica di un periodo caratterizzato da bavagli alla stampa e di repressioni violente del dissenso attraverso processi-farsa) e i Lettori, liberi di esprimere un proprio giudizio sull'intero libro, aventi l'opportunità di utilizzare espedienti simili all'Analogia Iuris per riflettere sul significato dell'Opera e sulla sua valenza attuale.

In conclusione, sarò schiettissimo, come poche altre volte sono stato: "Sostiene Pereira" è un capolavoro, praticamente perfetto in ogni sua parte, con una trama solida e un contenuto estremamente valido e ben sviluppato: Un libro senza tempo, che racconta una storia vecchia eppure moderna. Dopotutto, siamo parte della Storia anche noi.

[10]

giovedì 28 gennaio 2010

AlekAwards 2009: Il Peggio



Oltre ai mirabili, alcuni -diciamolo anche- premiati per sberleffo, non potevano mancare i peggiori del 2009.Alcune categorie sono state eliminate a causa di...assenza di finalisti di tale caratura da poter essere inseriti nella lista. Mi scuso per gli eventuali disagi, nel 2010 tutte le categorie potranno godere della ribalta. Bando alle ciance comunque, eccoli qui!

UOMO DELL'ANNO: Antonio Di Pietro, politica


L'illitterato che si fece Magistrato; il magistrato che si fece politico; il politico che si fece Capo Ultras. Questa è la storia tutta italiana di Tonino Di Pietro, uno che fa politica scambiandola per un lavoro al banco dei salumi in un mercato rionale. Mai premio fu più meritato.

Finalisti:
Fabrizio Corona, gossip
Massimo Tartaglia, attualità

DONNA DELL'ANNO: Barbara D'Urso, Gossip


Altro che Belen Rodriguez, altra temibile candidata al trono di reginetta della spazzatura, Barbara D'Urso si merita il premio senza dubbi. Il suo contenitore pomeridiano su Canale 5 è una vera summa del peggio esistente sulla Tv italiana: insulti, grida, storie strappalacrime, Grande Fratello, gli indispensabili litigi di Vittorio Sgarbi (che da sole meriterebbero un premio)... l'elenco è lungo, a testimonianza delle argomentazioni a favore della bella conduttrice napoletana.

Finalisti:
Belen Rodriguez, Gossip
Madonna Luise Ciccone, Musica

FILM DELL'ANNO: "New Moon" di Chris Weitz


Premio meritatissimo e sudatissimo, visto che di film veramente scadenti il 2009 ne è costellato. Dopo quell'abominio di "Twilight" (che ho avuto la forza di vedere e che spero di recensire presto), arriva il sequel, caratterizzato da tutti gli aspetti migliori del prequel: trama da ridere, soundtrack poco credile, recitazione pessima per non dire inesistente. Sicuramente "Eclipse" sarà in lizza per i flop del 2010, e vi anticipo già da ora che uno dei suoi temibili avversari sarà "Avatar".

Finalisti:
"Amore 14" di Federico Moccia
"I Love Shopping" di Paul P.J. Hogan

ALBUM DELL'ANNO: "The Fame Monster" di Lady Gaga


Maccio Capatonda griderebbe "Mobbasta!". Che dire, lei le conoscenze e le doti per sfondare al di fuori dell'ambito truzzo-commerciale le avrebbe eccome, ma la ragazza si è fatta sedurre dalla forza oscura e non molesta del denaro, uscendosene con un disco che più commerciale non si può e un'immagine veramente improponibile. Dopo Madonna e Kylie Minogue, speravamo fosse finità quell'epoca di lustrini, paiettes e poco altro. E invece no.

Finalisti:
"Humanoid", Tokyo Hotel
"She Wolf", Shakira

VIDEOGIOCO DELL'ANNO: "Gran Turismo PSP", Poliphony Digital


Dopo anni che si attendeva come un Messia, GT è arrivato su Psp. Per esserci, c'è, ma è già rilasciato già vecchio: solo 4 auto, nessuna componente online, nessun campionato, auto acquistabili solo quando lo deciderà il gioco...e dire che nel 2005uscì Toca Race Driver, nettamente superiore in ogni comparto. Grande Yamauchi, continua così.

Finalisti:
"Pro Evolution Soccer 2009", Konami
"Tekken 6", Namco


SPORTIVO DELL'ANNO: Felipe Melo, calcio


Arrivato nell'estate dopo un'ottima annata tra Fiorentina e Seleçao, sembra l'uomo in più del centrocampo bianconero. Invece la storia la conosciamo tutti: tra la dubbia competenza tecnica e tattica della Juve contemporanea e le sue (ovvie) difficoltà di ambientamento, Melo si è rivelato molto, troppo al di sotto delle aspettative in lui riposte. Un po' come tutta la Juventus.

Finalisti:
Ciro Ferrara, calcio
Thierry Henry, calcio

sabato 23 gennaio 2010

Avatar


Pianeta Pandora. A.D. 2154.
La Terra è ormai un pianeta morente e gli umani, sempre più avidi di nuove forme di energia per sostenere il continuo sviluppo tecnologico e se stessi, sbarcano su un pianeta gassoso ricchissimo di Unobtanium, minerale da cui la RDA (la società che finanzia la spedizione) vuole trarre guadagno oltre che energia per la sempre più evoluta civiltà terrestre.
Pandora è un pianeta pressochè inesplorato, abitato da decine di animali mai visti e da un popolo, i Na'Vi, che vive ancora in uno stato primitivo, in forte simbiosi con l'ambiente che li circonda.
Gli umani, dal canto loro, sono giunti nel nuovo sistema solare con due squadre: una scientifica, che mira a studiare il pianeta e il suo ecosistema, oltre che di instaurare un dialogo con gli autoctoni, e una militare, comprensibilmente dal grilletto fin troppo facile. Della prima, a seguito della morte del gemello, entra a far parte Jake Sully, paraplegico ex marine chiamato su Pandora per diventare il controllore di un organismo metà umano e metà Na'Vi chiamato "Avatar" sviluppato per il genoma del fratello. La missione degli "Avatar" è quella di entrare in contatto con i nativi, conquistarne la fiducia e al contempo di ottenere informazioni importanti per la missione, al fine di poter sfruttare le immense risorse energetiche del pianeta. Ma qualcosa cambierà nell'animo di Jake, che da infiltrato diventerà sempre più intimamente legato ai Na'Vi e a Eywa, lo spirito che lega il pianeta a tutte le creature che lo abitano, fino a combattere dalla parte degli indigeni nella battaglia finale contro gli umani.

Questa è la trama di Avatar, il nuovo film di James Cameron che in poco meno di un mese pare aver conquistato gli spettatori e la critica di tutto il mondo, come testimoniano i mastodontici incassi e i due Golden Globes vinti dalla pellicola. Ma ci si trova veramente davanti a un capolavoro? Si tratta veramente del preludio di una nuova epoca per il cinema? Quello che trasmettono nelle sale ha al suo interno qualcosa di più oltre che alla pura meraviglia visiva?

Se dovessi essere schietto e chiudere qui il mio intervento, parafrasando Shakespeare, mi limiterei a scrivere "Molto rumore per nulla". Ma siccome mi pare determinate argomentare la mia opinione, procederò a una veloce analisi del film.

Nulla da eccepire per quanto riguada l'ambientazione e la progettazione artistica: Pandora è qualcosa di meravigliosamente inconcepibile, con la sua feroce fauna e l'affascinante flora bioluminescente. Più di una volta durante i 170 minuti del film sarà inevitabile spalancar la bocca davanti alla lussureggiante bellezza del pianeta e dei suoi sinuosi abitanti blu, i Na'Vi, il cui concept è classificabile come una miscela tra Indios e Nativi Americani nella pelle di un felino umanoide, soprattutto per quanto concerne il loro rapporto con la foresta in cui vivono, caratterizzato da una perfetta simbiosi, ne rispetto dell'Energia della "Grande Madre", in un legame simile a quello tardivamente espresso dalla Teoria di Gaia. Il tutto è reso ancor più magnificente dall'uso del 3D, che senza dubbio aumenta il coinvolgimento dello spettatore e contemporaneamente permette di apprezzare in modo ancora maggiore l'incredibile lavoro di artisti, animatori e scenografi. Sotto questo punto di vista, Avatar è senza dubbio un capolavoro curato, appassionato e coinvolgente come visto poche volte prima d'ora. Forse, è dai tempi di Jurassic Park che la tecnologia non dava un apporto così determinante al risultato finale della pellicola.

E ora passiamo ai tasti dolenti...
Sintetizzando al massimo, direi che il leitmotiv dell'ultima fatica di James Cameron è: Tanta tecnica, tanto show, ma poca sostanza. O per meglio dire, la sostanza non manca di certo, ma viene infilata nel film quasi a forza, sviluppata poco e male.

la colonna sonora di James Horner è praticamente non pervenuta, se non per un paio di componimenti veramente di livello (di cui uno, quello che accompagna il primo volo del protagonista a cavallo di un Ikran, veramente emozionante) e per l'orecchiabile brano di Leona "prezzemolo" Lewis. Di contrasto l'accompagnamento sonoro è eccezionale e, in generale, sembra confermare il concetto sovraesposto.

Nulla da eccepire sulla recitazione, buona e convinta da parte di molti attori, anche se i personaggi sono piuttosto stereotipati (ad esclusione della Dottoressa Augustine, interpretata da una cinica e sarcastica Sigourney Weaver, attrice-feticcio di James Cameron).

La vera parte mancante del film è il suo pilastro fondamentale: la trama.
Essa infatti può essere ricondotta alla ennesima declinazione sul tema "nativi-conquistatori" che spesso ha fatto da sfondo nella cinematografia americana. Il problema è che Cameron non aggiunge nulla al tema, litandosi a svolgere per bene il compitino, rappresentando i Na'Vi come un popolo animista pienamente rispettoso dell'ambiente in cui vive e i terrestri come animati da un perverso "fardello dell'uomo bianco" che mira a sfruttare e deturpare tutto ciò con cui viene a contatto. Inoltre, se si esclude la trita retorica ecologista molto alla moda negli ultimi anni, il film non propone nessuna riflessione e nessuno spunto critico. Pare quasi che la trama, invece che essere il motore della vicenda, diventi un pretesto per far vedere quanto avanti sono arrivate le arti visive negli ultimi anni. Il chè, per chi da un film non vuole solo spettacolo ed esplosioni ma anche una storia profonda e strutturata, è una lacuna piuttosto evidente. Eppure, con i mezzi e il team a disposizione, Cameron avrebbe potuto (e, visto la grandissima attesa generata, dovuto) osare di più. Quindi, si può dire che siamo lontani anni luce dalla profondità intellettuale di film come The New World di Terrence Malick, pellicola che, pur trattando gli stessi temi, riesce ad esprimere qualcosa di più che il semplice godimento visivo, soprattutto attraverso una poesia sopraffina che poi va riversarsi anche sulla regia (a tratti inguardabile quella di Cameron) e sulla fotografia. Ecco, in una parola, ciò che più manca ad Avatar: la poesia.

Concludendo, credo di aver spiegato cosa intendessi con la citazione shakesperiana di cui sopra: Avatar è un capolavoro solo a metà (per di più nella parte meno intellettuale), sicuramente capace di settare nuovi standard tecnologici ma privo di un carattere capace di farlo ricordare per qualcosa che non sia il fragore delle cascate o la lucente pelle blu dei nativi. Come tutti i precedenti film del coneasta canadese, è sì bello, ma senz'anima: tanta apparenza e poca essenza. Nulla in grado di spingere il cinema in aree inesplorate, se non, come già ribadito, in campo tecnico. Per questo, il voto non può che essere una media tra il 10 della forma e il 4 della sostanza.




[7,0]

giovedì 21 gennaio 2010

TapTap Revenge 3


Prima di iniziare a giocarci, fareste bene a fare del buon stretching: i vostri pollici potrebbero risentire la mancanza di elasticità. Di cosa sto parlando? Di Tap Tap Revenge 3, applicazione per Iphone disponibile su AppStore.
Sviluppato dalla misconosciuta Tapolous, TapTap Revenge 3 si presente come la risposta del melafonino a ben più rinomati brand di intrattenimento ludico musicale come Guitar Hero e Rock Band (serie presente tra l’altro su Iphone che tuttavia non costituisce un must-buy per gli utenti del telefonino partorito dalla società di Steve Jobs). Senza dubbio, le ambizioni del software erano altissime, eppure bisogna dire che sono tutte ampiamente e perfettamente raggiunte, facendo del gioco un acquisto quasi imprescindibile.

La struttura di gioco (in larghissima parte ripresa dal mentore GH) è tanto semplice quanto letale: Tre tasti, decine di palline luminose che avanzano verso il basso dello schermo da premere a ritmo della hit con cui vi state divertendo. A variare il gameplay interverranno i classici "power-up" volti a moltiplicare il punteggio e addirittura dei momenti -a dire il vero poco riusciti- in cui sarà necessario scuotere il proprio cellulare in determinate direzioni.

La difficoltà è ben bilanciata: si va dal livello “Easy” con cui è possibile prendere dimestichezza con il software, fino al grado fin troppo esplicativo di “estreme”, per cui sarebbero utilissimi un altro paio occhi e un pollice in più (a meno che non vogliate imbrogliare pigiando tutti i tasti assieme, cheattoni che non siete altro). Cè da dire però che anche al massimo della difficoltà il gioco è godibilissimo e mai frustrante, complice anche il sistema di punteggio che si presta soprattutto ad essere un limite da superare nella partita successiva da parte del giocatore e che premia non tanto la perfezione della combo come avviene con i brand summenzionati su console, quanto il continuare a suonare per capire i propri limiti e conseguentemente migliorarsi.
Il tutto, inoltre, viene condito dalla presenza di una modalità multiplayer sullo stesso telefonino e una corposa sezione online, grazie a cui sarà possibile, oltre che chattare, caricare i propri migliori score nelle classifiche mondiali, visitare i mini-siti degli artisti ed acquistare nuove tracce.

Proprio la tracklist è per ironia della sorte il vero tallone d’Achille di TapTap Revenge 3: il gioco offre solo tre canzoni (tra cui una difficilissima da giocare di Tiesto) e qualora vogliate altri brani con cui cimentarvi dovrete scaricarli da un apposito negozio online. Ovviamente, non sarà possibile per l’utente giocare con i brani dell’Ipod: una lacuna piuttosto grave se consideriamo il genere di appartenza di questa app. Ci si può chiudere un occhio giusto perché il software è scaricabile gratuitamente da AppStore.

[8,5]

Fight Club


La storia dell'umanità è da sempre attraversata al suo interno da un desiderio di sempre maggiore libertà e progresso non solo tecnologico, ma anche culturale. Paradossalmente, però, questi desideri si sono rivelati delle lame a doppio taglio: se le società democratiche hanno fatto proprio il motto "ordine e progresso", garantendo come risultato del loro operato una maggiore libertà individuale, in verità l'umanità si è trovata sempre più schiava: di se stessa, del mondo del lavoro, della storia, delle convenzioni sociali, in una spirale di cui pare impossibile vedere il fondo.

Da queste "premesse" prende avvio Fight Club, secondo lavoro dell'autore statunitense Chuck Palahniuk, che narra le vicende di un tranquillo impiegato oppresso e depresso che, dopo l'incontro con la poliedrica figura di Tyler Durden, cambia radicalmente la sua vita e la scala delle sue priorità, dedicandosi al combattimenti in circoli clandestini (fondati da lui e Tyler) chiamati, per l'appunto, "Fight Club". I circoli, inizialmente considerabili come una valvola di sfogo per la classe media e proletaria schiava delle proprie responsabilità e plagiata dall'impero culturale occidentale, ben presto riscuotono successo e proseliti, che ben presto Tyler pensa di educare al fine di renderli adatti al "Progetto Caos", che mira alla distruzione della civiltà.

La trama, per quanto possa apparire banale, si presta invece a momenti di riflessione molto importanti, che indirettamente pongono il lettore a farsi domande sul suo stesso stato. Anche io sono schiavo del mondo che mi circonda? Questo è veramente il migliore dei mondi possibili? Questo è il mondo in cui vivo? A queste ed ultriori domande si troverà di fronte il lettore, e la risposta non può che essere personalissima.

Le tematiche affrontate sono il risultato di una summa di tutti i temi centrali della cultura novecentesca: l'indagine psicologica, le convenzioni sociali, la debolezza dell'uomo e del suo sistema di cose, la rabbia e la disillusione di una parte di popolazione. Forse proprio qui sta la forza del libro: il saper mescolare in modo egregio futurismo italiano, beat generation, decadentismo cultura boheme e pop. Più concretamente, nel romanzo sono essenzialmente tre: il tema del doppio, il cancro (interpretabile in molti modi) e il combattimento fisico inteso come mezzo per riacquistare coscienza di sè e per capire che la realtà in cui viviamo non è altro una situazione artificiale, troppo distante dalla vera natura dell'uomo, animale razionale.

Per quanto riguarda lo stile e il linguaggio adottato, figlio diretto della lingua basilare e schietta utilizzata da autori come Salinger o Kerouac sia per gergo che per espedienti (continue ripetizioni, periodare breve), pur non avendolo particolarmente amato devo ammettere che ben si confà alle atmosfere del romanzo, caratterizzate da squallore e oppressione, ben lontano dagli ideali artificiali di evoluzione, progresso e perbenismo che sembrano accompagnare la civiltà di fine XX secolo.

Il libro è stato un cult e ne è stato tratto un film da David Fincher. Per quanto mi riguarda, ho apprezzato il libro, soprattutto per quanto concerne i temi affrontati e la forza espressiva del libro, veramente capace di esprimere al meglio lo stato di crisi della cosiddetta "Generazione X" ("una generazione di uomini cresciuti da donne", come la apostrofa l'autore). Veramente una lettura consigliata: non lo reputo un capolavoro, ma è sicuramente un buonissimo libro, sicuramente tra i migliori della sua epoca.

[8,0]

giovedì 7 gennaio 2010

Il 2010 di Stanza 251


Orbene, il secondo decennio del XXI secolo è già iniziato da qualche giorno, ma non avevo ancora avuto l'opportunità di augurare buon 2010 agli sparuti lettori del blog, quindi: Auguri!

Che senso ha questo intervento? Sinceramente non lo so nemmeno io, ma l'idea era quella di dare indiscrezioni sul futuro del mio portale personale. Perciò, bando alle ciance e andiamo al sodo: presto avverrà la prima edizione degli AlekAwards, premio alla crema delle produzioni d'intrattenimento e ai personaggi dell'anno appena trascorso. Con esso, vedrà la luce una nuova rubrica-etichetta che non sto a dirvi altrimenti mi gioco le poche letture mensili che ho. Inoltre, nasceranno altre etichette, verranno riprese quelle ora in dimenticatoio e potenzierò a suon di recensioni e opinioni quelle ancora un pò debolucce. Concludendo, cercherò di rendere più fruttuosa la presenza del link sulla mia pagina FaceBook (Ergo: mi farò una pubblicità assurda sul social network).
Quanto allo stile, mi riserbo l'opportunità di scrivere in modo più scurrile e meno freddo quando ne sentirò la necessità, magari con un pò di simpatia in più.

Stay Tuned!

mercoledì 6 gennaio 2010

AlekAwards 2009



Come promesso, ho pensato di istituire un premio che annualmente assegnerò alle cose, ai prodotti e alle persone che secondo l'insindacabile giudizio della giuria d'assegnazione costituita da me me stesso medesimo si sono messi in evidenza per la loro qualità, la loro originalità o la loro capacità di piacermi. Ovviamente, come in ogni premiazione che si rispetti, oltre al vincitore di ogni categoria citerò anche i finalisti.

UOMO DELL'ANNO: Piero Marrazzo, Politica

Povero Piero, è diventato il simbolo di un sistema di cui forse è solo il meno illustre partecipante. Un uomo -si può dire?- sputtanato ai quattro venti, che in meno di una settimana s'è visto finire la ben avviata carriera politica e precipitare all'interno delle pagine della cronaca per uno scandalo deflagrante. Premio di Stima: noi non ti volteremo mai le spalle (perchè altrimenti la cosa si fa preoccupante...)

Finalisti:
Barack Hussein Obama, Politica
Michael Jackson, Musica

DONNA DELL'ANNO: Noemi Letizia, Gossip

Un'altra che assieme agli amichetti di Piero ha scoperto gli altarini dei potenti d'Italia e fatto scoppiare un caso, ovviamente messo a tacere e rubricato da molti giornali schierati come "insulse illazioni contro il Premier Nostro Amato". Nonostante ciò, questa donna un premio se lo merita: ha un inglese perfetto (Youtube ve ne darà la prova), non ha pressochè nessun talento e amici importanti...La ragazza, nel nostro Paese, farà strada. Brava Noemi, sei tutti noi.

Finalisti:
Elin Nordegren, Sport
Federica Pellegrini, Sport

ORA PASSIAMO ALLE COSE SERIE:

FILM DELL'ANNO: "District 9" di Neill Bloomkamp

Bella, bella, bella sorpresa: Film poco reclamizzato, girato da un regista praticamente alle primissime armi, eppure una piccola perla del cinema di fantascienza, sempre più in uno stato comatoso ed esposto alle più incredibili banalizzazioni. Finalmente una pellicola in cui gli Zoidberg ci invadono e i cattivi siamo noi. Da vedere per riflettere.

Finalisti:
"Parnassus: L'uomo Che voleva Ingannare il Diavolo" di Terry Gilliham
"Bastardi Senza Gloria" di Quentin Tarantino

LIBRO DELL'ANNO: "Che La Festa Cominci" di Niccolò Ammaniti

Un libro forte e cattivo da parte di una autore di indubbio talento ma che forse necessita ancora di qualche anno per il definitivo salto di qualità. Un'opera consigliatissima, che col gusto per l'iperbole e l'esagerazione dipinge un affresco dissacrante e decandente di un Paese, l'Italia, che più di altri al momento esprime il disagio e le contraddizioni dell'Occidente.

Finalisti:
"Emmaus" di Alessandro Baricco
"Uomini Che Odiano Le Donne" di Stieg Larsson

ALBUM DELL'ANNO: "The Resistance", Muse

I Muse sono tra i gruppi che più mi piacciono, ma il vero Amore per Matthew Bellamy e soci è scoppiato grazie a questo album: oscuro, opprimente ma al tempo stesso affascinante e energico, "The Resistance" è un album di spessore assoluto, dove nessuna traccia è meno curata delle altre. Da sottolineare la forte personalità del disco, così ben impressa da permettersi citazioni ad altri artisti (Blondie e Queen in primis) senza soffrire di crisi d'identità.

Finalisti:
"21st Century Breakdown", Green Day
"Malika Ayane", Malika Ayane

VIDEOGIOCO DELL'ANNO: "Little King's Story", Cing & Town Factory

Devo dire che nei sondaggi online ho sempre votato per Scribblenauts e che ultimamente giocandoci sto amando alla follia la seconda avventura degli antenati di Desmond Miles, ma non si può non premiare un gioco come "Little King's Story": trasognante, ironico e tenerissimo, è stato amore a prima vista per il piccolo Re Corobo e il suo sperduto villaggio destinato a diventare un regno favoloso. Un gioco d'altri tempi da un team stellare: Da giocare.

Finalisti:
"Scribblenauts", 5th Cell
"Assassin's Creed 2", Ubisoft

MANGA DELL'ANNO: "Mushishi" di Yuki Urushibara

Arrivato in Italia appena in tempo per essere premiato, seguo il progetto da anni, sin dalla sua uscita in Giappone. Opera di una artista dal tocco tanto immaturo quanto delicato e sensibile, Mushishi racconta di Ginko, cercatore di Mushi che viaggia per il mondo cercando di risolvere i problematici rapporti esistenti tra gli umani e queste eteree e sfuggenti creature.

Finalisti
"Detroit Metal City" di Wakasugi Kiminori
"Nausicaa della Valle del Vento" di Hayao Miyazaki

SPORTIVO DELL'ANNO: Fc Barcelona, Calcio

Chi altri poteva meritarsi il premio? Sei-dico-SEI trofei in una sola stagione per una squadra che, come piace dire al presidente Joan Laporta, "è più vicina all'opera d'arte che al calcio"; Bisogna ammettere che non parla a sproposito. A ciò, si aggiungano le vittorie personali di Lionel Messi. Chapeau.

Finalisti:
Jenson Button, Formula 1
Federica Pellegrini, Nuoto

FATTO DELL'ANNO: Morte di Michael Jackson

Poche volte in vita mia ho visto tanto trasporto per la morte di un personaggio pubblico, oltretutto non un uomo di politica ma un cantante. Il mondo si è trovato unito nel tragico evento: da Parigi a Manila decine di persone hanno pianto, salutato ed omaggiato il Re del Pop. Forse il miglior modo per ricordare un uomo con una vita alquanto oscura ma dalla carriera fulgida.

Finalisti:
Aggressione a Silvio Berlusconi
Premio Nobel per la Pace a Barack Hussein Obama