
La storia dell'umanità è da sempre attraversata al suo interno da un desiderio di sempre maggiore libertà e progresso non solo tecnologico, ma anche culturale. Paradossalmente, però, questi desideri si sono rivelati delle lame a doppio taglio: se le società democratiche hanno fatto proprio il motto "ordine e progresso", garantendo come risultato del loro operato una maggiore libertà individuale, in verità l'umanità si è trovata sempre più schiava: di se stessa, del mondo del lavoro, della storia, delle convenzioni sociali, in una spirale di cui pare impossibile vedere il fondo.
Da queste "premesse" prende avvio Fight Club, secondo lavoro dell'autore statunitense Chuck Palahniuk, che narra le vicende di un tranquillo impiegato oppresso e depresso che, dopo l'incontro con la poliedrica figura di Tyler Durden, cambia radicalmente la sua vita e la scala delle sue priorità, dedicandosi al combattimenti in circoli clandestini (fondati da lui e Tyler) chiamati, per l'appunto, "Fight Club". I circoli, inizialmente considerabili come una valvola di sfogo per la classe media e proletaria schiava delle proprie responsabilità e plagiata dall'impero culturale occidentale, ben presto riscuotono successo e proseliti, che ben presto Tyler pensa di educare al fine di renderli adatti al "Progetto Caos", che mira alla distruzione della civiltà.
La trama, per quanto possa apparire banale, si presta invece a momenti di riflessione molto importanti, che indirettamente pongono il lettore a farsi domande sul suo stesso stato. Anche io sono schiavo del mondo che mi circonda? Questo è veramente il migliore dei mondi possibili? Questo è il mondo in cui vivo? A queste ed ultriori domande si troverà di fronte il lettore, e la risposta non può che essere personalissima.
Le tematiche affrontate sono il risultato di una summa di tutti i temi centrali della cultura novecentesca: l'indagine psicologica, le convenzioni sociali, la debolezza dell'uomo e del suo sistema di cose, la rabbia e la disillusione di una parte di popolazione. Forse proprio qui sta la forza del libro: il saper mescolare in modo egregio futurismo italiano, beat generation, decadentismo cultura boheme e pop. Più concretamente, nel romanzo sono essenzialmente tre: il tema del doppio, il cancro (interpretabile in molti modi) e il combattimento fisico inteso come mezzo per riacquistare coscienza di sè e per capire che la realtà in cui viviamo non è altro una situazione artificiale, troppo distante dalla vera natura dell'uomo, animale razionale.
Per quanto riguarda lo stile e il linguaggio adottato, figlio diretto della lingua basilare e schietta utilizzata da autori come Salinger o Kerouac sia per gergo che per espedienti (continue ripetizioni, periodare breve), pur non avendolo particolarmente amato devo ammettere che ben si confà alle atmosfere del romanzo, caratterizzate da squallore e oppressione, ben lontano dagli ideali artificiali di evoluzione, progresso e perbenismo che sembrano accompagnare la civiltà di fine XX secolo.
Il libro è stato un cult e ne è stato tratto un film da David Fincher. Per quanto mi riguarda, ho apprezzato il libro, soprattutto per quanto concerne i temi affrontati e la forza espressiva del libro, veramente capace di esprimere al meglio lo stato di crisi della cosiddetta "Generazione X" ("una generazione di uomini cresciuti da donne", come la apostrofa l'autore). Veramente una lettura consigliata: non lo reputo un capolavoro, ma è sicuramente un buonissimo libro, sicuramente tra i migliori della sua epoca.
[8,0]
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