martedì 29 novembre 2011

Demotivational #2

1° Posto:



2° Posto:



3° Posto:


La terza è bellissima, commovente e per nulla demotivante.

sabato 26 novembre 2011

Crisi, Monti, Spread, Situazione Economica e via discorrendo


Dacchè mi interesso di attualità politica ed economica, non ricordo un momento tanto difficile per il nostro Paese.

Gli avvenimenti dei mesi scorsi (due manovre in un mese e mezzo, gli attacchi speculativi in Borsa, la schizzata verso l'alto del differenziale di rendimento tra BTP italiani e Bund tedeschi, le dimissioni del Presidente Berlusconi, la nomina di Mario Monti) hanno messo in luce uno stato di cose a tratti catastrofico -non per niente ieri Fitch parlava di recessione già in atto per l'Italia- per troppo tempo negati dall'esecutivo di Berlusconi.

Forse uno dei mali del Nostro Paese è stato il prolungarsi dell'agonia del Governo, che almeno dal dicembre 2010 non riusciva ad essere incisivo (non che nei decenni precedenti, per la maggior parte dominati dal partito del Cavaliere, l'azione di governo fosse formidabile) e nemmeno credibile agli investitori e alle istituzioni politiche ed economiche estere, dopo il Rubygate. Oltretutto, se pensiamo che il Governo Prodi (vituperatissimo dai media nazionali ai suoi tempi) riuscì a mantenere lo Spread a 38 punti base, lampante diviene la desolante politica messa in campo dal Governo.

Ora è il tempo di Mario Monti, un "pezzo grosso" con le mani in pasta nell'UE, nel Bilderberg, nel Trilateral e che viene visto come l'uomo delle banche, dei poteri forti, il commissario dell'UE mandato a risanare l'Italia.
Io tendo a considerarlo più un uomo chiamato al Governo per due motivi: Primariamente, è uno che ci sa fare, sa di economia e ha una grande caratura internazionale, e poi, proprio in virtù della sua caratura e dei ruoli di prestigio da lui ricoperti, era l'unico capace di dare garanzie ai mercati, anche se pare che ora la fiducia sia agli sgoccioli, in attesa di misure concrete.

Ecco, le misure. Già adesso che non ci sono la gente se le inventa e si scatena contro il Governo. Mi immagino quando ci saranno. Comunque, io sono dell'opinione che non c'è tanto da guardare il pelo nell'uovo e devono essere messe in campo tutte le misure necessarie per salvare il Paese. Ben vengano riforme sulle pensioni, ben venga la patrimoniale, ben venga l'IMU. Non siamo nelle condizioni di fare gli schizzinosi e dire "questo sì, questo no". L'unica cosa che richiedo come controproposta è una seria politica di riforme strutturali in grado di garantire un futuro migliore all'Italia e agli italiani.

Io Sono L'Amore


Film che ha conteso fino all'ultimo a La Prima Cosa Bella la possibilità di rappresentare l'Italia alla passata edizione degli Oscar e che ha entusiasmato la critica tanto italiana quanto estera, Io Sono L'Amore è un dramma famigliare intenso e ottimamente prodotto, una sorta di "delitto e castigo" ambientato nella Milano della borghesia industriale moderna.

Tutto ruota attorno ad Emma Recchi, impersonata da una smagliante Tilda Swinton, moglie russa di un capitano d'industria italiano che si appresta a lasciare il suo piccolo impero ai figli. Nel mentre, la donna scopre l'omosessualità della figlia (vivendola senza patemi) conosce Antonio, un cuoco amico del figlio e se ne innamora, vivendo con una storia passionale. La situazione però sfugge loro di mano e, nel corso di una lite con il figlio che ha scoperto la relazione, quest'ultimo cade in coma e muore, facedola divenire l'emblema dello scandalo e venendo ripudiata dai componenti maschi della famiglia che la ritengono responsabile dell'accaduto.

Come ben si può capire dalla sinossi, il motere immobile di tutto il film è il personaggio interpretato da Tilda Swinton, che si conferma come una delle migliori attrici in circolazione, per di più recitando in italiano. Buonissimi anche i personaggi di contorno, primo tra tutti quello intepretato da Alba Rohrwacher, sempre più nuova capace diva del cinema italiano, in grado di conferire al personaggio di Elisabetta una graziosa leggerezza gravata però dal timore delle opinioni altrui sulla sua sessualità.

Mentre l'accompagnamento sonoro fa il suo dovere senza però essere indimenticabile, ottima è la severa regia di Luca Guadagnino, che si avvale anche di una fotografia pulita e capace di dare un'aria insospettabilmente fascinosa alla Milano che fa da sfondo alle vicende.

A mio avviso, Io Sono L'Amore resta uno dei film italiani più belli degli ultimi anni, nonostante alcune fasi piuttosto lente (difetto fisiologico del genere drammatico) che potrebbero renderlo un polpettone indigeribile agli occhi del pubblico di massa.

Un'opera intensa, struggente e piena, capace di ridare lustro -soprattutto all'estero- al nostro cinema, il quale, nonostante sia tra i migliori al mondo, come testimoniano i tanti premi e riconoscimenti ottenuti in passato dai nostri cineasti, vive da qualche anno un momento difficile, incapace come è di accalappiare l'attenzione degli stranieri.

[9,0]

lunedì 21 novembre 2011

Metal Gear Solid 4: Guns Of The Patriots


Dopo quasi vent'anni, l'epopea di Solid Snake giunge al termine, e lo fa nel migliore dei modi.

Siamo nel 2014, dopo i fatti narrati in Sons Of Liberty il mondo è sull'orlo del baratro: la guerra è diventata un'attività come tante, un nuovo ramo dell'economia, gestito anch'esso dai Patriots, l'oscura loggia che sin dai tempi della Prima Guerra Mondiale condiziona il corso della storia.

Snake, ormai vecchio e prossimo alla morte, si erge come ultimo bastione a difesa della libertà e del libero arbitrio, e decide di tentare l'ultimo disperato assalto al Sistema, che trova ora un nuovo nemico in Ocelot, che desidera soggiogarlo al suo volere per dominare il mondo.

Aiutato dai vecchi compagni che hanno segnato le sue avventure, il Soldato Leggendario tenterà il tutto per tutto per consegnare a cui verrà dopo di lui un mondo più libero da condizionamenti, guerre e poteri ombra. Nonostante il suo destino sia segnato, Solid non vuole arrendersi.

Al di là di questa intriduzione per forza di cose striminzita e piena di lacune, la trama di MGS4 è qualcosa di veramente entusiasmante e potente, in quanto riesce veramente a creare una grandissima empatia tra il protagonista e l'utente, che si sentirà proprio come se fosse spalle al muro davanti a un minaccia di sì grande portata.

A rendere ancora più epico e trascinante l'impianto narrativo scritto da Hideo Kojima, lo stesso autore nipponico inserisce una regia magistrale, sia per le sequenze in game (splendidi alcuni boss fights, prime tra tutte le soldatesse della "Beauty And The Beast Unit, ognuna emblema di un particolare male della guerra) che per le cutscene. Riguardo proprio alle scene cinematografiche, più di un giocatore ha lamentato una eccessiva quantità e lunghezza di queste scene, avente soprattutto il difetto di spezzettare troppo l'azione. Io non sono assolutamente d'accordo: per un ultimo capitolo come questo, che aveva l'obiettivo di rispondere alle domande sollevate dai tre episodi precedenti, molte cutscene erano necessarie e fanno di tutto fuorchè annoiare o diluire il ritmo degli eventi.

Autentica ciliegina sulla torta è la colonna sonora, composta per l'occasione da Harry Gregson Williams, sia con pezzi totalmente nuovi che con rimaneggiamenti di motivi storici della saga o rimaneggiamenti di opere dialtri compositori. In tale ottica, è da brividi la versione Gregsoniana del classico di Ennio Morricone "Here's To You".

Anche dal punto di vista tecnico Metal Gear Solid 4 è un assoluto portento: considerando che è uscito nel 2006, ancora oggi sfoggia una veste grafica da fare invidia alle produzioni più recenti e tecnologicamente avanzate. Solo pochissimi prodotti sotto questo punto di vista risultano migliori (sostanzialmente, i soli Uncharted 2, Gears Of War 3 e God Of War III, che però sono usciti tutti tra il 2009 e il 2011).
Parlando di gameplay, bisogna segnare l'assenza di novità eclatanti, ad eccezione della tuta mimetica di cui ora è dotato Solid Snake. Altra simpatica aggiunta è il robottino creato da Otacon che permette di fare una ricognizione di nuove aree senza rischiare di farsi scoprire e perdere oggetti. Oltre a ciò, ci troviamo davanti al sistema di gioco che abbiamo imparato a conoscere, con una telecamera molto più "action" mutuata dalla versione Subsistence di Metal Gear Solid 3: Snake Eater, oltre che dalla ormai storica "camera a spalla" di Resident Evil 4.

Proprio in relazione al capitolo precedente, Snake Eater, si può invece rilevare qualche feature in meno: ora non è più necessario procacciarsi il cibo e il sistema di camuffamento e mimetizzazione è stato molto ridimensionato. Si tratta tuttavia di defezioni ininfluenti per l'impianto di gioco, che nulla tolgono alla robustezza e alla completezza del gameplay. Si potrebbe dire che ciò che manca in termini di possibilità ludiche è aggiunto in termini di emozioni e sensazioni.

Ma ciò che più conta in un gioco simile è la sceneggiatura e, come detto poco sopra, quella di Guns Of The Patriots è a prova di bomba. Drammatica, spettacolare, esaltante, ironica, in una parola epica. Quella scritta da Kojima è una delle (se non la) migliore sceneggiatura per un videogioco, tanto curata nell'intreccio quanto ben calibrata nelle fasi di gioco, sempre divertenti, varie e mai frustranti.

In poche parole, Metal Gear Solid 4: Guns Of The Patriots, oltre che ultimo atto di una saga eccelsa, è uno dei più grandi videogiochi di sempre, un prodotto destinato ad essere una pietra miliare nella storia di questo giovane medium, al pari di capolavori come Super Mario 64, The Legend Of Zelda: Ocarina Of Time e Final Fantasy VII. Metal Gear Solid 4 sta al videoludo come La Pietà di Michelangelo sta alla scultura. E il paragone non è a caso, alla luce di un finale di gioco vibrante e commovente.

Here's To You, Solid Snake.

[10]

The Legend Of Zelda: Phantom Hourglass


E' possibile rinnovare e rinfrescare una saga (splendida, sia chiaro, ma a tratti imbolsita) come quella di "The Legend Of Zelda" senza snaturarne il concept, semmai arricchendolo col solo sapiente uso del sistema di controllo?

La risposta è lapassianamente sì, visto che questo capitolo, il primo Zelda per Nintendo Ds, pur essendo il "solito" Zelda, con tanto di dungeon da esplorare, enigmi da risolvere, item da conquistare nel corso dell'avventura e boss fights, console alla mano risulta immensamente più fresco e innovativo di qualsiasi altro capitolo della saga sino ad allora giunto sul mercato, e tutto in virtù dei perfetti controlli via touch screen e delle simpatiche feature via microfono.

Al di là di una trama semplice (che si pone come una sorta di sequel dell'controverso -almeno presso la critica- Wind Waker) ma tuttavia appassionate condita come sempre da personaggi indimenticabili -come l'ormai mitico capitano Linebeck- e scenette divertenti, il vero punto di forza del gioco sta nei controlli, con il pennino utilizzato ora come spada, ora per indicare le traiettoie del boomerang, ora per tracciare la rotta della nave con cui solcare i quattro mari, ora come gancio per scoprire tesori sommersi. Proprio la semplicità e l'immediatezza del sistema è l'arma con cui Nintendo ha conquistato sia i fan che i neofiti della saga, e il risultato è pressochè inattaccabile.

E' quasi spiazzante notare come, alla fine del gioco, dopo aver passato una bella decina di ore sul due schermi di Nintendo, ci senta tanto appagati dall'aver concluso l'ennesimo capitolo della propria saga preferita quanto felici di avere provato un'esperieza ludica nuova e fresca, senza precedenti di rilievo.

Anche gli altri aspetti del gioco sono pressochè perfetti: la grafica in cell shading ha il suo fascino a tratti "cubista", la colonna sonora è variegata e composta da brani che, una volta ascoltati, difficilmente lasceranno le insenature del nostro cervello, i "contenuti aggiuntivi" (tra cui una inedita per il brand modalità cooperativa/competitiva online) allungano di moltissimo l'esperienza e si rivelano spesso utilissimi oltre che divertenti, soprattutto per quanto concerne la possibilità di customizzare il proprio battello.

Insomma, la perfezione su Nintendo Ds.

Un gioco da giocare a tutti i costi.

[10]

Lost - Stagioni da 1 a 5


Se mi dovessero chiedere cosa ho fatto quest'estate, tra le prime cose che mi verrebbero in mente è "Ho visto le prime cinque stagioni di Lost". Ebbene sì, non ero uno dei fan della prima ora del serial J.J. Abrams e Damon Lindelof, ma ho recuperato velocemente il tempo perduto.

La storia di Lost è famosissima, intricatissima e non ha bisogno di presentazioni, ma io la faccio comunque: Il volo Oceanic 815 precipita su un'isola dopo essersi spezzato in due, sopravvivono 42 persone, alcuni muoiono, tutti pensano che l'isola sia deserta e che presto i soccorsi arriveranno, ma non è così: l'isola è abitata da un uomo rinchiuso in un bunker che ha passato gli ultimi tre anni della sua vita a inserire un codice (4-8-15-16-23-42) in un computer per evitare la fine del mondo. Dopo si scopre che sull'isola vive una pazza francese e che ci sono altri 23 sopravvissuti, oltre a una tribù indigena detta "Gli Altri" e che l'isola era abitata da un gruppo di scienziati facenti parti del progetto DHARMA, tutti morti. Inoltre, sull'isola ci sono altri bunker e una serie di rovine di un'epoca molto lontana che richiamano l'architettura maya ed egizia. Dopo tante peripezie, alcuni dei sopravvissuti vengono salvati (e diventano famosi come "I Sei dell'Oceanic") ma dopo tre anni vengono indotti a tornare sull'isola, che dopo la loro dipartita continua a spostarsi nel tempo e nello spazio. Di loro, alcuni giungono nel 1977, altri restano nel tempo corrente.

Questa in estrema sintesi e con pochissimi spoiler è il sunto di cinque stagioni e circa novanta puntate.

La particolarità di Lost è che la narrazione degli eventi nel "nostro tempo" è continuamente intervallata da flashback e flashforward, utilizzati per raccontare la vita dei sopravvissuti prima del loro arrivo sull'isola. Ciò potrebbe spezzettare l'azione, ma conferisce maggiore spessore ai personaggi e dà qualche indizio o collegamento sul motivo per cui sono sull'Isola, invogliando lo spettatore a farsi domande, darsi risposte e, sostanzialmente, continuare a vedere la serie.

Oltre a questa, ci sono molte altre peculiarità: il continuo ripetersi delle cifre del codice di cui sopra (per lo meno fino alla quarta stagione), il fatto che molti personaggi abbiano cognomi di filosofi, letterati e scienziati -e non a caso: abbiamo infatti a che fare con Danielle Rousseau, John Locke/Jeremy Bentham, Mr. Eko (infatti non sono pochi i richiami almeno concettuali all'opera di Umberto Eco "L'Isola Del Giorno Prima"), Kate Austen, Daniel Faraday, Desmond Hume, Michail Bakunin e così via-, i continui misteri risolti solo in parte come il Mostro di fumo, la gigantesca rovina di un piede con quattro dita, gli orsi polari, i miracoli dell'isola, le reali intenzioni degli Altri, il significato di alcune simbologie piuttosto evidenti...ma soprattutto, chi diamine è Jeronimo Jackson?!

Il problema è che scrivere di Lost senza svelare nulla ed evitare di togliere il piacere di vedere il telefilm è pressochè impossibile. Lost è un'esperienza, e come tale va vissuta, metabolizzata e pensata, non raccontata.

Parlando dei personaggi, c'è poco di cui lamentarsi: il cast è vario, ricco di personalità di spicco, ben caratterizzato. I miei preferiti sono il prete-ex trafficante d'armi nigeriano Eko, il truffatore James "Sawyer" Ford, dotato di un'ironia e di un cinismo senza pari e Sayid, torturatore iraqeno ex membro della Guardia Nazionale. Bello il fatto che le vite di tutti i sopravvissuti si siano volutamente o involontariamente toccate nelle loro vite precedenti. Che fossero predestinati a dover raggiungere l'isola un giorno?

Sulle serie in sè, c'è da dire che a mio avviso, le prime tre rimangono nettamente superiori alle ultime due: se prima smaniavo dalla voglia di vedere "ancora un episodio", dopo alcune assurdità tra la quarta e la quinta stagione ho perso un pò dell'entusiasmo iniziale, specialmente perchè sembra che gli autori facciano di tutto per allungare la brodaglia pur non avendo grandi idee, riciclando escamotages già visti altrove. Sia ben chiaro, la qualità rimane alta, ma se posso dare voti d'eccellenza alle prime tre stagioni (che bollerei con voti che vanno dal 9 al 10) altrettanto non posso fare con la quarta e la quinta serie, cui darei 8. Ogni tanto si vedono ancora fiammate di qualità pari agli esordi, ma si tratta appunto di mosche bianche, nonostante all'inizio della V stagione Lindelof assicurasse che fosse la migliore in assoluto.

Inoltre, al momento rimangono parecchi punti interrogativi. E mi auguro venga data a tutti una risposta, altrimenti rimarrei molto deluso.

Comunque se dovessi dare dei voti:

Stagione I: 9,0
Stagione II: 9,5
Stagione III: 9,0
Stagione IV: 8,5
Stagione V: 8,0

Media: 8,8


Non resta che aspettare la recensione della sesta ed ultima stagione.

martedì 1 novembre 2011

Black Dahlia


Il caso della Dalia Nera è forse uno dei casi irrisolti più famosi di sempre. Avvenuto nel 1944 a Los Angeles, ha a che fare con la morte di Elizabeth Short, una giovane attrice trovata orrendamente mutilata in un campo alla periferia della città californiana. La particolare intricatezza del caso (mai dichiarato chiuso dalla polizia losangelina) ha ispirato nel corso delgi ultimi settanta e passa anni innumerevoli opere, siano esse letterarie, cinematografiche o persino videoludiche, come il recente L.A. Noire.

Anche Brian De Palma, uno dei mostri sacri di Hollywood nonostante una carriera di tanti alti (Scarface, Gli Intoccabili, Carlito's Way) ma anche molti bassi (Femme Fatale, Mission To Mars) ha voluto dire la sua affidandosi alla sceneggiatura di Josh Friedman, facendo risolvere ai protagonisti del film il caso della bella Elizabeth.

Mr. Ice (Josh Hartnett) e Mr. Fire (Aaron Eckhart) sono due detective della polizia di Los Angeles famosi, soprattutto il secondo, per l'accuratezza delle indagini e l'acume deduttivo che li hanno resi i migliori detective di L.A.
Molto amici, vedono incrinarsi i loro rapporti quando viene loro affidato il caso della Dalia Nera (e non, si badi, perchè Mr.Ice se la faceva con la di lui donna, interpretata da una burrosa Scarlett Johansson): Mr. Fire, arrivato ad un vicolo cieco, inizia a dare di matto, in quanto non vuole lasciare senza giustizia la famiglia Short, ma ciò lo porterà alla morte, in un raro momento di spregiudicatezza durante le indagini. Starà a Mr.Ice rielaborare tutti i dati trovati dall'amico-collega e scoprire la (inaspettata) verità.

Da amante del noir anni '40, vedere Black Dahlia per me è stato come mangiare il mio piatto preferito: nulla è fuori posto, tutti gli stilemi del genere sono stati rispettati, la vicenda è intrigante e ben costruita.

Le atmosfere fumose di una Los Angeles sfarzosa e decadente, i detective in gessato e cappello con la sigaretta d'ordinanza, gli incontri di boxe, la voce fuori campo che, con forti metafore, racconta i pensieri dei protagonisti, personaggi dalla doppia vita ed anticonformisti, colpi di scena, jazz di sottofondo, i filtri visivi sul super8, non manca davvero nulla. Forse proprio questo è al contempo un pregio e un difetto di Black Dahlia: è una summa perfetta e piena di tutto ciò che ci si aspetta da un noir, stop.
Non un pizzico di originalità, non una trovata spiazzante. Certo la forza della componente narrativa va a narcotizzare la sensazione di "già visto" che emerge nell'utente ma, se mi mettessi nei panni di chi non ama il genere, direi che un pò più di coraggio in sede di sceneggiatura e regia non avrebbe guastato.

Promosso anche il cast: Scarlett Johansson, nonostante una dose eccessiva di sensualità, è ben calata nella parte, Hillary Swank è perfetta e credibile, altrettanto Aaron Eckhart, che sembra essere un vero uomo degli anni '40. Qualche remora su Josh Hartnett che a mio avviso non ha la faccia per interpretare questo genere di ruoli, ma forse mi sbaglio io, dato che lo si trova negli accrediti di un altro noir, seppur tratto da un fumetto, come Sin City.

Insomma, un bel film, anzi, un ottimo film che farà la gioia degli amanti delle detective stories classiche, ma che non aggiunge nulla di nuovo al genere e potrebbe non incontrare i favori di tutti.

[8,5]

L'Insostenibile Leggerezza Dell'Essere


Di gran lunga, uno dei migliori libri che abbia letto non solo quest'estate, ma in tutta la mia vita. Milan Kundera ha saputo miscelare bene tre tipi di romanzo (storico, introspettivo, saggio) creando un pastiche intrigante e di superba qualità.

Sullo sfondo della Primavera di Praga si incrociano i destini di due coppie: Tomas, medico insaziabilmente attratto dalle donne, e Tereza, donna semplice alla ricerca solo di amore contraccambiato da parte di lui; l'eccentrica Sabina e il tranquillo Franz. Le vicissitudini lavorative e sentimentali faranno in modo che i loro destini si tocchino o si incrocino più volte, similmente a quanto avviene in Closer di Patrick Marber.

Ma il pezzo forte del libro non si trova tanto nella dinamica delle coppie , quanto nella maestria dell'autore ceco che, pur adottando il lessico e la prosa tipici di una pubblicazione di saggistica, riesce a trasmettere immagini vivide, credibili ma al contempo quasi surreali e slegate dal normale incedere del tempo (e in ciò mi ma ricordato Doppio Sogno di Arthur Schnitzler) e a trasmettere una serie di emozioni inaspettatamente profonde (magistrali in tal senso il capitolo dedicato alla morte di Karenin o agli ultimi momenti della vita di Tomas e Tereza).

Una delle particolarità che ho notato maggiormente è stata la diatriba continua da Leggerezza e Pesantezza, cui Kundera dedica anche un intero capitolo, che si incontra ovunque nel libro, come ci si trovase dinanzi a una versione moderna dell'apollineo e del dionisiaco nietzscheano: basti fare riferimento ai personaggi stessi o al continuo parallelo tra l'opprimente società comunista e la fugacità delle esperienze amorose e la leggerezza delel esistenze umane. Scissione riscontrabile anche nel romanzo stesso: si passa da pagine dedicate alla riflessione politica e filosofica a momenti dedicati alla più classica delle narrazioni, senza disprezzare nè una buona dose di ironia, nè qualche cenno poetico.

Praticamente, mi risulta impossibile trovare un difetto a un'opera simile. Un'opera completa, sia perchè frutto migliore dell'intera produzione artistica dello scrittore di Brno, sia perchè sa ammaliare il lettore offrendo non solo una narrazione appassionante, ma anche una serie di riflessioni e aforismi interessanti e mai banali.

Non sono solito chiudere le mie recensioni con una citazione dal libro che sto trattando, ma questa volta non posso esimermene, e riporto uno dei più bei passi d'amore che mi siano giunti alla vista:

"L'avventura di Tomàs con Tereza era cominciata esattamente là dove terminavano le avventure con altre donne. Essa si svolgeva sull'altro versante dell'imperativo che lo spingeva alla conquista delle donne. In Tereza non voleva svelare nulla. L'aveva ricevuta già svelata. Aveva fatto l'amore con lei prima di prendere in mano il bisturi immaginario con il quale apriva il corpo supino del mondo"

[10]

Spartacus: Gli Dei Dell'Arena


Sarò schietto e coinciso: questa serie è merda.

Merda dal punto di vista storico, visto che il setting romano è solo un pretesto per giustificare una serie di combattimenti all'arma bianca senza soluzione di continuità. Se non fosse per le tuniche, potrebbe essere scambiato anche per uno sceneggiato ambientato nella Papua Nuova Giunea. Con tutto quello che, in termini di scenografia e sceneggiatura, l'eta pre-imperiale romana poteva offrire, è quasi una bestemmia non usufruirne.

Merda dal punto di vista della sceneggiatura, perchè alla fine dei conti Spartacus è un mix di sesso (etero e saffico prevalentemente) e combattimenti condito da sangue quanto basta. Insomma, le stesse attività che piacevano all'umano primitivo e all'americano medio contemporaneo, giusto per far capire che ci siamo evoluti ma nemmeno poi tanto.

Merda dal punto di vista registico, in quanto tutti (e sottolineo TUTTI) in combattimenti tra i gladiatori della scuola di Batiato sono proposti al rallentatore nelle fasi più concitate. Vi ricorda qualcosa? Ah, sì, 300 di Zack Snyder! Tuttavia un conto è proporre di tanto in tanto la tecnica come fa il regista di Watchmen e Sucker Punch nell'adattamento del fumetto di Frank Miller, altro è proporlo ogni 6 minuti netti, dopo ulteriori sei minuti di sesso.

Merda dal punto di vista scenografico, la serie non doveva avere grossissimi budget (e quello non è necessariamente un male) ma si ha la costante sensazione di trovarsi costamentente su un set di cinema porno. Che poi, visto che alla fine la cosa più alllettante della serie sono le attrici (quasi tutte veramente bellissime), sarebbe meglio noleggiarsi un porno, almeno si evita di vedere omaccioni in mutante sudati che lottano tra loro.

Che poi, non mi spiego con che criterio siano stato scelti gli attori. Come diavolo è possibile anche solo ipotizzare che potessero esserci persone dai tratti palesemente sudamericani o orientali nella Roma del I secolo avanti Cristo?! L'unica spiegazione possibile è che, almeno per quanto concerne le donne, sia stato utilizzato il "metodo Brass", ossia una veloce analisi delle tette e del viso -nel senso, vediamo se sei carina- e una attenta ispezione del culo, che il regista veneziano esalta a "specchio dell'anima".

[3,0]