giovedì 16 agosto 2012

The Prestige

E' acclarato: Christopher Nolan è un genio.
Non ascoltate "Kevin Spacey" di Caparezza
Certo, come tutti, a volte ha dei passaggi a vuoto (leggasi i primi due capitoli della trilogia-reboot di Batman), tuttavia ha sempre dimostrato di essere un regista e uno sceneggiatore capace, coraggioso e con idee.

The Prestige, come altri titoli, ad esempio Memento, contiene in sè tutte le qualità tipiche di Nolan.

Adattamento per il cinema del romanzo omonimo di Christopher Priest, The Prestige è la storia della rivalità  professionale e umana tra due illusionisti, "Il Professore" (impersonato da Christian Bale, attore-feticcio di Nolan) e "Il Grande Dantàn" (un inconsuetamente bravo Hugh Jackman). Ad essere sinceri, il film può anche essere visto come la continua, ossessionata rincorsa di Dantàn verso l'illusione perfetta, rappresentata dal trucco del "trasporto umano", numero del Professore.
L'ossessione porterà Dantàn ad affidarsi ai servigi di Nikola Tesla (David Bowie!), il quale costruirà una macchina in grado di replicare e addirittura superare la spettacolarità degli show del Professore.

Senza dilungarsi oltre nella sinossi (aggiungo che ho taciuto la parte più succulenta e sensazionale del film onde evitare spiacevoli spoiler), la cosa più bella del film sta nella costruzione della sceneggiatura stessa, che segue i tre stadi di un numero di magia (situazione normale - magia - prestigio) ed inevitabilmente lascerà di stucco lo spettatore, non solo perchè si rispetta la struttura anzidetta, ma soprattutto perchè la "magia" si scopre solo nel finale.

Per quanto la sceneggiatura sia la colonna portante del film, sarebbe ingiusto non spendere due parole su altri aspetti del film.
Bella la trasposizione delle atmosfere da "Belle Epoque" di fine Ottocento-inizio Novecento, rese ancor più affascinanti dalle schegge di fantascienza che il personaggio di Tesla ha consentito di aggiungere.

Buonissima la prova di tutto il cast (nel caso di Bale, non è una novità) e da sottolineare la presenza di attori come Michael Caine (altra presenza fissa nei film di Nolan), Andy Serkis e Scarlett Johansson. 

Nulla da dire sull'accompagnamento sonoro, nella norma (Ad eccezione della affascinante canzone dei titoli di coda).

Insomma, l'annata cinematografica del 2006 ci ha regalato due grandi film sul mondo della magia: The Illusionist (avente un taglio più drammatico e romantico) e questo The Prestige, capace di ergersi sul rivale grazie a una trama più articolata e spiazzante. Dont' miss it!

[9,0]

martedì 10 luglio 2012

Men In Black 3

Stavolta niente "twisteeeeer!"
Recensione fuori tempo massimo, visto che il film è uscito due mesi fa (e io l'ho visto un mese e mezzo fa), ma tant'è.

Da come se ne parlava su internet e tra i cosiddetti bene-informati, Men In Black 3 doveva essere una chiavica, il classico raschiamento del fondo del barile di una serie che, tutto sommato, ha divertito parecchio, specie col secondo capitolo.

E invece no. Men In Black 3, pur non raggiungendo complessivamente la qualità di MIIB, diverte e intrattiene bene per un'ora e mezza.
Decisivi come al solito i scambi di battute tra J e K (a tal proposito, grandissimo come sempre Tommy Lee Jones e altrettanto convincente Josh Brolin nella parte dell'Agente K di fine anni '60) e le gag permesse dalla trama (che, per chi non lo sapesse, ha a che fare con l'Agente J che viaggia nel tempo al fine di evitare la morte di K per mano di un pericoloso terrorista spaziale). Divertentissima la "revisione" di Andy Warhol e della sua factory, tanto per citarne una.

Unico appunto che mi concedo (da fan) è che non sia stato dato spazio ai "vermoni", a mio avviso i comprimari più divertenti della trilogia e parecchio apprezzati in MIIB.

Per gli appassionati, da segnalare un cameo di Nicole Scherzinger (o, per meglio dire, delle sue -ottime- tette).

[8,0]

domenica 27 maggio 2012

L.A. Noire

"Put your weapon down, now!"
Come detto più volte, questa generazione videoludica non ha granchè entusiasmato.
Console costruite con componentistica scandente, prezzi esorbitanti, videogiochi prodotti con lo stampino, stampa specializzata ridotta a reclame commerciale.

Fortuna che, nonostante tutto, c'è chi ha ancora voglia di sperimentare, di rischiare, di offrire qualcosa di diverso rispetto alla concorrenza. A volte si fa bingo, a volte si fallisce, a volte tutti e due i casi. Quest'ultimo è il caso di L.A. Noire, uno dei giochi più chiacchierati e attesi degli ultimi anni e arrivato nei negozi nel maggio del 2011. Il successo di vendite c'è stato, ma ciò non è bastato a salvare lo studio di sviluppo dal fallimento, provocato anche dai contenziosi aperti dai dipendenti, costretti a turni di lavoro massacranti. Al di là di ciò, L.A. Noire, pad alla mano, si mostra come una delle esperienze più belle e coinvolgenti mai nate in ambito videoludico, ricca di atmosfera e fascino, seppur con qualche difetto in grado di non farlo digerire a tutto il pubblico.

Nel gioco l'utente impersona Cole Phelps, reduce di guerra e poliziotto losangelino, nel corso della sua carriera, partendo dai distretti e dai casi meno prestigiosi fino alla narcotici, alla omicidi e alla incendi dolosi. Ovviamente i casi non saranno tutti slegati tra essi: sullo sfondo si agitano alcuni dei gangster più famosi dell'epoca e i loro traffici, oltre che un caso mai risolto inerente al furto di grosse quantità di morfina dalle scorte dell'esercito.

Oltre ai casi propriamente detti (alcuni veramente capolavorici e citazionistici, come il caso Nicholson Electroplanting e La Città Nuda), Cole potrà destreggiarsi in altre attività, come la possibilità di sedare crimini girovagando per la mappa, la raccolta di distintivi e di pellicole di celluloide.

Purtroppo - e qui sta l'unico vero neo del prodotto del Team Bondi- i crimini della strada sono tutti molto simili tra loro (in pratica, si insegue o si insegue e si spara), e anche i casi di polizia seguono sempre lo stesso schema consistente nel raccogliere prove, analizzare la scena del crimine, interrogare i sospettati. Onestamente il sottoscritto, da amante del noir, non si è mai annoiato nel fare ciò (e il gioco dura tra le venti e le venticinque ore) ma molti hanno notato monotonia in queste meccaniche.

La cosa su cui tutti concordano, però, è la tecnologia di rilevazione facciale usata per la prima volta nel gioco: Mai prima di L.A.Noire si avevano avuti "attori" digitali così variegati nelle espressioni facciali e così determinanti ai fini del gameplay (per inciso, i tic e le espressioni del volto sono importantissimi ai fini degli interrogatori). Buona anche la realizzazione tecnica generale, sebbene molti si lamentino della "vuotezza" della Los Angeles anni '40 del gioco (dimenticando però che il free roaming non è il fulcro dell'esperienza, ma tant'è).

Splendida la colonna sonora, ottima la sceneggiatura (c'è solo un buco narrativo, lacuna inspiegabile, dato che a colmarla sarebbe bastato un filmato di 5 minuti), grande recitazione e tante, tantissime citazioni, in primis alla realtà dei tempi, oltre che a romanzi di autori come James Ellroy e John Fante. Tanti e ricercati anche gli omaggi a capolavori del cinema come Chinatown o Intolerance (e anche un simpatico easter egg "dedicato" a Brokeback Mountain).
Cosa chiedere di più?

Io non chiedevo nulla di più, tanto che L.A.Noire è uno dei giochi da preferiti non solo di questa generazione, ma di sempre. Altri invece ne rilevano una monotonia di fondo e una serie di difetti di gameplay. Il mio consiglio è comunque quello di fregarvene e giocarci. Vivrete una delle esperienze più belle che un videogioco possa offrirvi.

[9,0]

Ho Visto Del Piero

Ho visto Del Piero.
L'ho visto volare leggero come un angelo, quando aveva la faccia da putto.
L'ho visto inventare un tiro che è diventato solo il suo e lanciarsi tra i grandi ancora ragazzo.
L'ho visto segnare con la sua squadra soprattutto nelle partite che contavano, negli scontri diretti, nelle finali in giro per il mondo.
L'ho visto arrabbiarsi e digrignare i denti se c'era un principio da difendere e chinare la testa se il suo bene non era quello dei compagni.
L'ho visto lottare contro gli egoismi, anche contro i suoi, perché crescendo ha capito cosa voglia dire il gruppo.
L'ho visto parlare di valori e comportarsi di conseguenza.
L'ho visto inciampare e poi cadere.
L'ho seguito mentre si rialzava a fatica.
L'ho visto lottare contro allenatori e mal di pancia nervosi.
L'ho visto amare la maglia azzurra e non riuscire a farlo capire. Poi l'ho visto portarci a Berlino.
L'ho visto capire che le cose cambiano, modificare il gioco, segnare 11 gol di seguito su rigore se il rigore poteva essere il massimo da dare alla squadra in quel momento.
L'ho visto adattarsi dove non voleva, sacrificarsi facendolo ricordare.
L'ho visto umile e l'ho visto presuntuoso.
L'ho visto soffrire quando ha sbagliato.
L'ho visto uscire in smoking bianco, immacolato, da una discarica.
Non l'ho visto mollare, mai.
Non ho mai letto di lui sui giornali degli scandali.
Ieri sera l'ho guardato mentre si sedeva in panchina, con il broncio di chi vuole giocare.
L'ho visto applaudire i compagni per i gol che segnavano, esultare per la squadra.
L'ho visto entrare in campo senza riscaldamento, lui che non è più un ragazzino. L'ho visto strillare al ragazzo che parlava troppo, perché ci vuole rispetto.
L'ho visto segnare una punizione da artista e un rigore da ragioniere.

Sono contento di aver visto Alex Del Piero fare tutte queste cose.
Alex Del Piero è un bell'esempio per i miei figli.

(Fabio Caressa)
705 presenze, 290 gol, 19 trofei in 19 anni.

Precious

Produce e dirige Lee Daniels
Dal Sundance Film Festival, oltre a tanta roba hipster e decisamente trascurabile, spesso escono film di una forza tale da imporsi anche agli occhi del grande pubblico.

Uno di questi è sicuramente Precious, dramma del 2009 che, dopo aver stupito Cannes e Park City, ha conquistato Due Premi Oscar e un Golden Globe. Non male per un film indie. Non male nemmeno per un film così forte ed esplicito -tra l'altro ispirato ad una storia vera-, che tratta temi scomodi e inusuali a determinate platee come la violenza famigliare, lo stupro, la sieropositività, l'emarginazione sociale.

Ottimo il cast, che vede grande protagonista Mo'nique (una comica) che ha saputo vincere un Oscar e un Golden Globe grazie a una recitazione convincente e intensa. Da sottolineare anche la prova di Gabourney Sidibe, alla prima sul grande schermo e che si è portata a casa una nomination come migliore attrice protagonista. Da citare, per i feticisti, i camei di Lenny Kravitz e Mariah Carey, molto distanti dall'immagine pop e sofisticata che solitamente li adorna.

Buonissima la colonna sonora, un po' meno convincente la regia, a mio avviso troppo bizantina -nel senso che passa da sequenze da documentario ad altre molto più tradizionali e didascaliche, con risultati non sempre convincenti- e il montaggio, che però svolge bene la sua funzione (chi ha visto il film capisce a cosa mi riferisco).

Sembra incredibile credere che vicende come quelle narrate da Precious possano avvenire nella vita reale. Eppure è vero. Cosa ancora più commovente è vedere come la vita di una ragazzina di sedici anni possa essere rovinata in modo irreparabile da coloro i quali dovrebbero proteggerla ed educarla.

[8,0]



sabato 12 maggio 2012

Dark Shadows

Un sequel? No, Grazie!
C'era un tempo in cui  Tim Burton scriveva e dirigeva film come Big Fish - Le Storie di Una Vita Incredibile, La Sposa Cadavere, Il Mistero di Sleepy Hollow o Ed Wood, film di grande qualità, talvolta eccelsa.
Poi è arrivato il pessimo Alice in Wonderland, e da lì la carriera del buon Tim ha iniziato a declinare inesorabilmente: prima il video (bruttissimo) di Bones, canzone (bellissima) dei The Killers, poi Sweeney Todd, che mi è piaciuto così tanto che non ho nemmeno voluto recensirlo ed infine questo Dark Shadows.

Adattamento di un serial televisivo, Dark Shadows è incentrato sulla figura di Barnaba Collins, uomo tramutato in vampiro da una strega di lui innamorata, il quale, dopo essere stato imprigionato per due secoli, viene liberato nel 1972. La famiglia è in declino, la vecchia magione (denominata Collinwood) messa così male che potrebbe godere dell'esenzione IMU e con la vecchia rivale divenuta l'indiscussa padrona di Collinsport, la città fondata dai suoi avi. Davanti a tale situazione il pallido Barnaba si attiverà per riportare i Collins, il villaggio e l'azienda di famiglia al passato splendore. Nel mentre, se la dovrà vedere con la strega Angelique e Victoria, la giovane domestica tanto simile al suo perduto amore.

Premesse buone, bisogna riconoscere. Peccato che il film faccia veramente schifo: a conti fatti, Dark Shadows si presenta come un'accozzaglia di quanto oggi sia pop tra i teenager: vampiri, streghe e licantropi. Con la differenza che qui i vampiri non brillano alla luce del sole.
Bella l'idea di ambientare tutto negli anni '70 (e qui c'è da sottolineare la presenza di una buona colonna sonora, con canzoni di Alice Cooper, Iggy Pop e Barry White), ma gli spunti offerti si limitano solo a un paio di gag con Hippies fumati e dicono "oooh, che figo!" a ogni parola di Barnaba.

Proprio questo esempio fa capire tanto del film: le idee non mancano, ma sono sviluppate in modo episodico, marginale e prevedibile. A me è parso che tutte le cose che accadono durante le due ore scarse di proiezione siano solo un riempitivo per giungere allo "scontro finale". Un riempitivo peraltro scialbo, incoerente e a tratti noioso (non bastano un paio di battute e qualche situazione piccante per migliorare la situazione) e senza una reale trama a sorreggere il susseguirsi degli eventi.

A ciò si aggiunga poi la retorica burtoniana, ormai trita e ritrita e stancamente riproposta in ogni film. Manca la verve che aveva caratterizzato la prima parte della carriera del regista, mancano vere innovazioni. Stessi toni cupi, stessa fotografia, stessa atmosfera che si perpetua da vent'anni.
Se poi ci aggiungiamo che il regista di Burbank si mette  a citare l'espressionismo tedesco anni '30 -in un film con i vampiri protagonisti, che novità!- e ad autocitarsi (fan service dicono i supporter, modo per dimostrare quanto il regista sia giunto alla frutta, dico io)  con richiami a Mars Attacks!, Edward Mani di forbice e La Sposa Cadavere, capiamo quanto il buon Tim si sia in parte adagiato sugli allori, vivendo della luce riflessa del suo (encomiabile) passato artistico.

Sul versante del cast, oltre ai soliti Johnny Depp ed Helena Bonham Carter (e qui un mobbasta degno del miglior Maccio Capatonda ci starebbe benissimo) che peraltro non recitano nemmeno ai loro livelli, c'è da segnalare la presenza di una convincente Michelle Pfeiffer e di una Eva Green bellissima e in forma smagliante, tanto che potrebbe essere indicata come l'unica nota lieta della produzione.

Insomma, Dark Shadows è l'ennesima delusione di Tim Burton. Meglio di Alice in Wonderland (anche perchè fare peggio di quel film era quasi impossibile), ma da un (ex?) maestro come Burton è lecito aspettarsi di più e di meglio

[4,5]


mercoledì 25 aprile 2012

Lost - Stagione 6

4, 8, 15, 16, 23, 42


Tutto ha una fine.
Purtroppo nemmeno Lost riesce a continuare in eterno. Ma vi posso assicurare che la sesta stagione del serial cult per eccellenza è qualcosa di veramente incredibile, sia per le possibilità di interpretazione che si possono dare agli eventi, sia per l'intensità e la drammaticità degli eventi.

La serie si sviluppa su delle sideways e su dei FastForward. Non sto a dire nulla della trama perchè tanto la conosciamo tutti, ma la cosa veramente epica di questa serie è il finale.
Bellissimo nel suo voler porre, all'interno della classica lotta tra Bene e Male, altri temi, come la religione, il senso della vita, il destino. Guardarsi le ultime cinque puntate della sesta stagione è una delle esperienze più emozionanti e meglio create per un format televisivo.

Tutte cose che sanno di aria fritta, me ne rendo conto, ma veramente, per me Lost è stata un'esperienza a tratti totalizzante, non trovo parole per descriverla in un post come questo senza addentrarmi in spoiler di natura ciclopica.
Quindi, chiudo qua e gli appioppo il voto massimo.

[10]



Boardwalk Empire - Stagione 2

Sì, lo so, la trasmissione è finita da un pezzo, ma mi sono ricordato di doverla recensire solo ora. Sì, lo so che stanno lavorando alla terza stagione e che ormai tutti (sottoscritto compreso) si stanno esaltando dietro al fantasy soft-porn de Il Trono di Spade/ Game Of Thrones e nessuno si filerà il mio post. Ma lo scrivo comunque, tiè!

A sceneggiare: Terence Winter
Come dicevo, la seconda stagione -strutturata in 12 episodi- riprende la narrazione da dove era stata (bruscamente) interrotta: il Commodoro, Eli e Jimmy decidono di allearsi per scalzare Enoch Thompson dal suo trono (figurato, qui non ci sono i Lannister). Oltre ai sotterfugi messi in atto da trio per bloccare il rifornimento di liquori (business principe per il Tesoriere di Atlantic City), il "buon" Nucky dovrà affrontare anche le insidie delle indagini dell'FBI, una crisi famigliare e un processo per prostituzione (Ogni riferimento ad ex Primi Ministri italiani è puramente casuale).

Senza addentrarsi oltre nella trama (che vedrà Nucky cercare nuovi alleati oltreoceano e introdurrà l'ascesa della criminalità ebraica e italiana), passo a dire cosa ho pensato vedendo la serie. Nulla dirò sulla qualità della sceneggiatura e della ricostruzione storica, affascinante ed eccelsa come lo fu nella stagione precedente.

Mi è parso che questa seconda stagione abbia una natura quasi interlocutoria, come se gli scenggiatori volessero dirci "Tranquilli, il meglio deve ancora venire". Infatti il ritmo non è serrato come in passato e si è dato risalto alla caratterizzazione dei personaggi, focalizzandosi attorno al tema della "famiglia" (in effetti, in questa seconda stagione ogni personaggio si troverà a fare i conti con il proprio passato e con i suoi consanguinei).
E proprio questa calma apparente fa da preludio alle ultime tre puntate della stagione, che rappresentano un vero e proprio rimescolamento delle carte in tavola. Qualcosa che, vi assicuro, va oltre le aspettative generate nei nove episodi precedenti. Il risultato è, manco a dirlo, esplosivo.

Quindi, com'è Boardwalk Empire in questa seconda apparizione?
Semplice: un prodotto magnifico sotto ogni punto di vista e che fa da preludio a una terza stagione che si preannuncia esaltante, soltanto deficitario dell'effetto novità proprio della prima serie.

[8,5]

mercoledì 11 aprile 2012

Source Code

Si parla anche di una serie TV in arrivo
Ogni volta si dichiara morta la fantascienza, ogni volta la fantascienza batte un colpo, come a dire "sono ancora viva!". A volte lo fa con prodotti totalmente sci-fi, come fu Matrix, altre con prodotti di altri generi ma fortemente "conditi" da elementi fantascientifici. Source Code appartiene a questa seconda categoria.

Diretto da Duncan Jones (ebbene sì, il figlio di David Bowie) e interpretato da Jake Gyllenhaal, Vera Farmiga e Michelle Monaghan, il film racconta le vicende di pilota dell'aeronautica statunitense che, senza motivo apparente, si sveglia su un treno. Dopo un' esplosione, Colter Stevens -questo il nome del protagonista- viene informato di essere il soggetto di un esperimento all'interno di una macchina chiamata "Codice Sorgente", che permette a chi vi è all'interno di vivere gli ultimi otto minuti di vita di un altro soggetto su una linea temporale alternativa. E lui ha il compito di trovare e disinnescare una bomba che ha fatto esplodere il treno.

La trama e il ritmo da thriller (esaltato dal taglio registico scelto da Jones) tengono lo spettatore incollato allo schermo, facendolo anche congetturare al riguardo di chi sia il potenziale attentatore e, soprattutto, sul perchè Colter non pareva essere a conoscenza del suo coinvolgimento nel progetto.

Un gran bel film, teso, ben studiato e adrenalinico. Consigliatissimo.

[9,0]

Vallanzasca: Gli Angeli Del Male

Ultimamente sono molto attratto dai film sulla mala, specie se italiana. Motivo per cui mi sono avvicinato con molto hype a Vallanzasca: Gli Angeli Del Male, film dello scorso anno diretto da Michele Placido, che già diresse un film magistrale come Romanzo Criminale, che molta fortuna e consensi ha raccolto anche oltre confine. Un altro capolavoro?

Non del tutto. A scanso di equivoci, Vallanzasca è un bel film, che intrattiene alla grande, ma sembra il fratello minore della pellicola tratta dal romanzo di De Cataldo. Inoltre, sembra anche un po' meno ispirato in sede di sceneggiatura, dove si è preferito concentrarsi sul personaggio del bel Renè (come era soprannominato dalla cronaca) piuttosto che sugli altri. Decisione sacrosanta, ma a mio giudizio sarebbe stato più utile un maggior approfondimento dei rapporti tra i membri della banda.

La trama, come suggerisce il titolo, si incentra sulle imprese criminali di Renato Vallanzasca, dalla quasi mitologica spedizione volta a liberare le tigri da un circo, ancora bambino, passando ai furti da ragazzino fino all'affermazione definitiva come uno dei criminali più potenti d'Italia. La sceneggiatura e la regia fanno apparire Renè come una sorta di antieroe pop, una deviazione dell'ideale di Robin Hood. E la scelta premia, perchè mai come in questo caso il personaggio, con il suo entourage di scagnozzi, belle donne e amici fidati, ben si presta a una narrazione simile.

Da quel che conosco, il film è molto fedele alle vicende realmente accadute. Peccato però che a volte sembra che certe cose accadano senza un reale motivo, o meglio, senza adeguati indizi per capirne il motivo. Credo che per comprendere appieno la sceneggiatura sia necessario avere una conoscenza capillare dei fatti di cronaca dell'epoca (infatti, non poche volte è stato mio padre, classe '60, a darmi delucidazioni su ciò che avveniva su schermo).

Antieroe pop, dicevamo. E infatti è così. Dalla colonna sonora, alla fotografia, passando per i costumi, Renato è rappresentato come una sorta di divo del rock, di bello e dannato, con una morale contorta, ma sempre onesto e leale con se stesso e gli altri. A dare una forte credibilità al bel Renè ci mette tantissimo del suo anche l'attore che lo interpreta, Kim Rossi Stuart, autore di una prova sontuosa (oltre che ad essere molto somigliante al Vallanzasca reale). Per quanto concerne il cast, da segnalare le apparizioni di Valeria Solarino nei panni di Consuelo, la madre del figlio del criminale, e Francesco Scianna, già visto nel non proprio indimenticabile Baarìa di Tornatore.

Chiudendo, non si può dire che Vallanzasca sia un brutto film, anzi, a parte qualche passaggio oscuro, è un bell'affresco sulla vita di uno dei fuorilegge più famosi della storia italiana, ma manca quel "qualcosa" che gli permetterebbe di essere un capolavoro.

[7,5]