
Ci ho messo un po' (soprattutto per impegni personali) ma non potevo evitare di dire la mia sia sulla tornata referendaria del mese scorso, sia sulla manovra "lacrime e sangue" che è passata venerdì scorso all'esame parlamentare.
Partiamo dal più vicino tra i due avvenimenti, almeno dal punto di vista temporale: la Manovra che, secondo Tremonti, dovrebbe portarci al tanto agognato pareggio di bilancio nel 2014.
Di mio, penso che una manovra del genere servisse, e anche tanto, visto l'immane grandezza del nostro debito pubblico. Tuttavia, come è costume per l'Italia, si aspetta sempre di essere sull'orlo del baratro (rappresentato in quest'occasione dagli attachi degli speculatori finanziari) prima di agire con rigore e fermezza. Giusto per fare un esempio, una manovra simile la Germania, che di problemi grossissimi non ne ha mai avuti, l'ha fatta nel 2005. Oggi è l'unica nazione dell'Eurogruppo a godere di buona salute, sia sul piano finanziario che dell'economia reale.
Tutto sommato ritengo che la manovra sia accettabile, ma qualche critica ci sta.
Anzitutto, i tempi. Le speculazioni ci sono oggi, non nel 2014, e mi pare insensato lasciare la stragrande maggioranza dei tagli nel biennio 13-14. So che una maggiore incisività della manovra avrebbe con tutta probabilità scatenato il malcontento popolare (se ci si è infervorati per 10 euro di ticket in codice bianco...), ma a mali estremi estremi rimedi, in mia opinione.
Inoltre, i mancati tagli ai costi della politica, che tanto fanno cruogiolare gli amanti dell'antipolitica. Giusto e sacrosanto che si abbassi il costo della macchina statale (specialmente guardando ai risultati conseguiti), ma credo non sia una cosa fattibile dall'oggi al domani. Prma di tutto, perchè le province sono organo dello Stato previsto in Costituzione e per eliminarle dovrebbe servire (se non erro) una Legge Costituzionale. Le indennità parlamentari senza ombra di dubbio vanno invece tagliate, almeno del 50% (considerando che un parlamentare medio guadagna 144.000 euro netti, passare a 72.000 non mi pare così grande perdita). Ma c'è da intervenire anche sulle Regioni, altro organo dove ci si porta a casa senza grossi intoppi 10-12.000 euro mensili.
Ora, il Referendum. A chiare lettere, secondo me la vittoria del fronte del "Sì" è stata una pietra tombale su un ipotetico sviluppo del Paese. Sì, perchè se nulla questio per quanto riguarda il legittimo impedimento (sia perchè la legge proposta dal punto di vista giuridico era una vaccata immane, sia perchè,vista l'umanità che compone la nostra attuale classe dirigente, in Italia un istituto del genere non ce lo possiamo permettere), tanto invece ci sarebbe da rimostrare sui quesiti sul nucleare e l'acqua.
L'affaire nucleare è stato il remake di quanto avvenne alla fine degli anni '80, con il referendum seguito a Chernobyl. Stavolta ci si è messa Fukushima, e la demagogia l'ha avuta facilmente vinta. Tutti a intimorire la gente con il "guarda che ti costruiscono una centrale davanti casa" e "guarda che se esplode fai la fine dei Giapponesi". Quei "tutti" però si sono dimenticati di dire che sia Chernobyl che Fukushima erano impianti vecchi (quindi poco avanzati tecnologicamente e poco sicuri se paragonati a quelli in progetto), che Fukushima era in fase di dismissione e che il sisma nipponico ha interessanto altre 9 centrali, le quali non hanno dato problemi di sorta. L'unico dubbio poteva essere quello temporale, con le prime centrali pronte tra dieci anni, ma nulla tale da motivare un "No" del genere, soprattutto se consideriamo che abbiamo un bisogno marcio di energia, che abbiamo una trentita di centrali appena oltre il nostro confine (che, se esplodessero, non è che le radioni stanno a guardare il passaporto...) e che le nostre regioni (leggasi: Friuli Venezia Giulia) stanno costruendo in partecipazione centrali all'estero. Della serie "non nel mio giardino", ma ben volentieri in quello altrui.
Ma il vero pomo della discordia, nel mio pensiero, è la possibilità per i privati di entrare nella gestione dell'acqua e degli altri servizi di pubblica utilità. Mi soffermerò solo sul problema-acqua: iniziamo col dire che ci sono dati incontrovertibili che ci dicono che la rete idrica italiana è più simile a un colabrodo che non ad altro. Se ci sono regioni virtuose come la Lombardia, che "spreca" solo il 29% delle acque potabili, la stragrande maggioranza delle Regioni (soprattutto al Sud) spreca più del 70% dell'acqua. A ciò, si aggiunga che lo Stato dovrebbe investire 250 milioni di Euro l'anno per i prossimi quindici anni (soldi che lo Stato non ha) per spese di manutenzione e ammodernamento. Quale modo migliore per ovviare al problema se non permettendo, previa rigida regolamentazione e istituzione di Organi di sorveglianza, ai privati di farsi carico della spesa? Nulla da recriminare sul famoso 7% di remunerazione caricato in bolletta, specie se consideriamo che già oggi una percentuale simile è trattenuta da organi pubblici a titolo di investimento sulla rete (che poi, sarebbe la stessa cosa che dovrebbe fare l'imprenditore privato).
Senza dire che già oggi molte aziende che gestiscono le reti idriche sono in mano a imprenditori privati, per lo più Francesi (in pratica, Lazio e Sicilia sono in mano a società transalpine per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche).A dar ancora più fastidio è il comportamento a dir poco trasformista di alcuni politici o presunti tali, come il Presidente della giunta regionale pugliese Nichi Vendola, che trovatosi a dover spiegare perchè era favorevole all'incremento delle bollette pugliesi per spese di investimento e non lo era in sede referendaria ha seraficamente sentenziato "nessuno me lo ha chiesto".
Che differenza fa dare soldi in più a un privato piuttosto che a una società pubblica? Onestamente, ci vedo più vantaggi nella prima opzione che non nella seconda.
Tuttavia, anche qui ha vinto il populismo e la demagogia (che mai come in questi anni di partecipazione a tutti i costi e di campagne messe su da non si sa bene chi sui Social Networks hanno avuto un peso così grande nella vita pubblica), oltre che l'informazione parziaria e arbitraria.
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