
Mio secondo romanzo di Umberto Eco dopo il capolavorico Il Nome Della Rosa, questo libro, pur non riuscendo -di poco- ad essere alla pari dell'esordio del professore alessandrino, mi è piaciuto moltissimo, non solo per la qualità della prosa, ma anche perchè riesce a miscelare in modo piacevole e arguto momenti leggeri e momenti di più profonda riflessione.
Per quanto concerne la trama, essa racconta della singolare esperienza di Roberto De La Grieve, rampollo della piccola nobiltà piemontese, che si trova "naufragato su una nave", la Daphne, la quale era alla ricerca del meridiano in cui si registra il cambio di data. Impossibilitato a scendere sull'isola appena oltre questo meridano, inizia a scrivere alla sua immaginaria Amata un resoconto delle sue esperienze passate, grazie a cui il lettore capirà come mai Roberto si trovi in una così paradossale situazione.
Come sempre in un'opera di Eco, non mancano pagine di eccelsa qualità non solo letterariamente parlando, ma soprattutto per quanto concerne l'analisi filosofica e la logica. Bellissime, ad essempio, sono i capitoli in cui il protagonista immagina le reazioni del suo corpo alla decomposizione, o quando si mette a filosofeggiare su come pensino le pietre e quale sia la loro posizione nel mondo, oppure ancora quando fornisce una visione folgorante e piena di significati dell'isola immaginaria in cui un personaggio secondario trova l'inferno. Passi di grande intelligenza ma anche passi di grande letteratura, in grado di competere con nomi "pesanti" come quelli di Melville o di Coleridge.
A rendere ancora più piacevole la lettura, poi, Eco non disdegna alcune note di colore e pagine dal contenuto ben più leggero, come quando scrive delle armate del padre di Roberto che muovono guerra agli spagnoli schierati davanti a Casale di Monferrato, in quella che sembra una versione su carta dell'Armata Brancaleone di Monicelliana memoria.
Unico neo, forse, è il fatto che verso la fine sembra che l'intreccio, invero complesso ma lucido dal punto di vista logico, stesse fuggendo di mano all'autore, che infatti lascia in sospeso i destini di Roberto mentre, con la forza della disperazione e della follia che ormai la solitudine gli ha donato, si getta in mare per cercare di raggiungere l'isola "rimasta nel passato", come la chiama lui. Furbizia di Eco è stata quella di trattare la vicenda come se l'avesse scoperta e non inventata, come fece già con Il Nome Della Rosa, e proprio questo espediente permette di far terminare il racconto in un momento clou.
Oltre a cio, non vedo comunque altri difetti di un'opera che, per qualità e contenuti, ha pochi eguali non solo nel panorama italiano, ma internazionale. Gli unici confronti possibili sono quelli con altri romanzi filosofici, come I Viaggi Di Gulliver di Jonathan Swift o Candido di Voltaire.
Oppure, come sostiene Pierre Lepappe, anche questi confronti sono vani, in quanto ci troviamo davanti a un nuovo genere di racconto storico "che trova i propri fondamenti nella storia culturale piuttosto che nelle tragedie politiche e nelle alcove principesche".
[9,5]
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