sabato 25 aprile 2009

venticinquequattroquarantacinque

Sarò schietto: Quella di oggi è una delle feste che più mi infastidiscono e meno mi entusiasmano. Non per motivi di "fede politica" personale (se, nel caso della politica, di fede si può parlare), ma per tutta la costruzione ideologica che ha dato i natali al festeggiamento di questa data. Il 25 aprile è una festa ad uso e consumo di una determinata fazione politica, quella stessa fazione che si è proclamata come custode assoluta e creatrice della verità storica (dopotutto, si sa, la storia la -ri-scrivono i vincitori).

Se fosse una vera commemorazione della liberazione dell'Italia dalle forze tedesche, quindi una Festa Nazionale, non gli si dovrebbero dare significati politici (cosa puntualmente smentita dai fatti e dalle manifestazioni che imperverseranno per le piazze italiane nella data di oggi); Tutt'altro, si dovrebbe giungere ad ammettere ognuno le sue colpe al fine di dare vita a una vera memoria condivisa non imposta. Ma passiamo oltre.

Una delle cose che mi danno più fastidio è il fatto che venga dato onore ai partigiani come se fossero eroi nazionali che da soli hanno liberato la Nazione. Ci sono due particolari taciuti che fanno riflettere: il primo è che i soldati tedeschi sono fuggiti davanti all'avanzata delle truppe alleate anglo-americane, e i partigiani hanno al limite svolto un ruolo di supporto (dare tutto il merito ai partigiani sarebbe come dire che i successi di una squadra di calcio dipendano dal solo terzino sinistro); il secondo è che i partigiani tutto erano fuorchè gli uomini animati dal sentimento di libertà ed eroismo che la Storia ci ha insegnato a conoscere. Per esplicare la cosa, riporto dei passi tratti da un altro blog inerente ad un classico esempio dello spessore politico e morale dei partigiani "liberatori":

Con la locuzione di origine giornalistica triangolo della morte si indica un’area del nord Italia ove, dopo la liberazione nell’aprile 1945, si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico, attribuite a partigiani e a militanti comunisti, ragion per cui è stata introdotta anche l’espressione triangolo rosso ad indicare la medesima zona. L’espressione viene spesso utilizzata in modo polemico al fine di sottolineare gli eccidi e le violenze compiuti dalla fine della seconda guerra mondiale al triennio 1946-1948.
Secondo il giornalista Giampaolo Pansa in origine l’espressione servì per indicare una zona del Modenese corrispondente al triangolo compreso fra Castelfranco Emilia e due sue frazioni, Piumazzo e Manzolino (pp. 347-348). In seguito, l’espressione è stata ripresa per indicare aree di volta in volta più ampie, per esempio il triangolo Bologna-Reggio Emilia-Ferrara, sia dentro che fuori dall’Emilia.
La situazione politica emiliana nel periodo immediatamente precedente e successivo alla Liberazione fu particolarmente violenta. Alla primitiva contrapposizione fra fascisti e antifascisti si aggiunse una forte istanza di modificare i rapporti sociali tra detentori della proprietà fondiaria e i contadini, per lo più legati con contratti di mezzadria. Un particolare aspetto fu la figura dei sacerdoti della Chiesa Cattolica. Da un lato ci sono esperienze come quella di don Zeno Saltini che voleva una chiesa schierata dalla parte dei più deboli, dall’altra i tanti sacerdoti uccisi nello scontro sociale.
[segue una lista delle vittime degli eccidi partigiani, che ometto per accorciare la lettura]
Le indagini nei primi tempi languirono. L’uccisione di religiosi e di laici, esponenti dei partiti aderenti alla Resistenza ma su posizioni moderate, ebbe un consistente influsso nei rapporti tra i partiti che collaboravano nel governo espresso dal CLN. Con l’uscita dei comunisti dal governo De Gasperi ebbe un atteggiamento più fermo, furono inviati rinforzi di polizia , le indagini furono riprese e vari responsabili delle uccisioni furono individuati. Anche se non mancarono clamorosi errori giudiziari come nel caso di Germano Nicolini ed Egidio Baraldi, condannati per gli assassini don Pessina e Mirotti, e riabilitati soltanto alla fine degli anni novanta.
Nel 1947 la collaborazione tra i partiti aderenti al CLN non resse alla prova del dopoguerra. I mutati equilibri internazionali, con la rottura fra potenze occidentali e URSS provocò anche in Italia la fine dei governi di unità nazionale e l’uscita dei comunisti dal governo.
Il fatto per motivi complessi rimase poco conosciuto, ma rimase. Nella primavera del 1990 parenti della vittime scrissero una lettera aperta, chiedendo almeno di sapere dove fossero stati sepolti i loro famigliari per poterli umanamente seppellire. Alcuni mesi dopo, il 29 agosto il dirigente del PCI ex-partigiano ed ex-deputato Otello Montanari rispose con un articolo sul Resto del Carlino in cui dopo aver duramente condannato quelle violenze, invitò a parlare i vecchi ex-partigiani. Ne ebbe gravi difficoltà nel partito, all’interno del quale fu aspramente contestato venne inoltre escluso dal Comitato Provinciale dell’ANPI, dalla Presidenza dell’Istituto Cervi e dalla Commissione regionale di controllo. L’invito ebbe in risposta una croce piantata nel comune di Campagnola, e ivi furono trovati i resti di alcune persone trucidate, vittime della guerra interna al CLN.
[...] Qui la guerra partigiana si prolungò nel tempo, ben oltre il 25 aprile del 1945 (data della fine della guerra), disseminando di migliaia di cadaveri le campagne. E qui venne coniato il termine «triangolo della morte», con cui all’inizio si intese definire il territorio tra i Comuni modenesi di Manzolino, Castelfranco e Piumazzo; più tardi esso si allargò progressivamente anche alle province di Reggio Emilia, Bologna e Ferrara.
Nel «triangolo della morte» si verificarono, fino al settembre 1946, efferati omicidi ascrivibili a bande di partigiani, prevalentemente di area comunista. Non si trattò, quindi, di caduti in guerra, ma di esecuzioni sommarie e di rappresaglie personali senza processo. La maggior parte delle vittime aveva poco o nulla a che fare con la politica: spesso il loro crimine, agli occhi dei partigiani, era quello di incarnare l’ideale cattolico che si opponeva alla realizzazione del loro sogno comunista. E tante di quelle morti sono rimaste tuttora sconosciute all’opinione pubblica. [...] L’elenco delle vittime del «triangolo della morte» emiliano (diverse migliaia, forse addirittura tra le 12.000 e le 15.000, secondo le ricerche più recenti) dimostra che il massacro era politicamente diretto. Nulla avvenne per caso, ma fu affidato ad una regia di base e di vertice mossa da intenti precisi. Vi era il progetto, cioè, di eliminare in primo luogo i sacerdoti, gli industriali e i cosiddetti «nemici di classe» dei comunisti. Scrive lo storico e saggista Massimo Caprara (già segretario di Palmiro Togliatti) in un illuminante articolo pubblicato sulla rivista Il Timone (n° 39, gennaio 2005): «A capo delle liste furono collocati i religiosi. Valga il caso cruento del sacerdote don Umberto Pessina, parroco di S. Martino di Correggio, ucciso il 18 giugno 1946. L’ex deputato comunista e comandante di un distaccamento partigiano, Giannetto Magnanini, ha rivelato in un libro recente che il delitto, allora rimasto oscuro, fu opera precisamente della ronda comandata dal dirigente provinciale comunista di Reggio Emilia. Il Partito Comunista non solo fu diretto esecutore ma anche paradossale accusatore, provocando la condanna di falsi colpevoli nelle persone di Germano Nicolini, Elio Ferretti e Antonio Prodi, innocenti. Don Pessina aveva tentato di difendersi: fu colpito nel corso della colluttazione e impietosamente finito».
Oltre all’incredibile cifra di novantadue religiosi (sacerdoti e seminaristi) uccisi per mano dei partigiani comunisti nella sola Emilia Romagna, va rammentato che pagarono un tributo di sangue anche numerosissimi laici. [...] Altro settore preso di mira: quello dei dirigenti e proprietari d’industria. [...] Furono colpiti, insomma, soprattutto sacerdoti e industriali, obiettivi esemplari dell’ideologia classista marxista. Anche don Dario Zanini, anziano parroco di Sasso Marconi (BO), nonché autore di un volume coraggioso quale Marzabotto e dintorni, si dice convinto che «l’ostilità verso la Chiesa c’entrava molto nei delitti commessi dopo la guerra, molto più che in quelli commessi durante il conflitto. Da noi, dopo il 25 aprile, esplose una faziosità incredibile, che aveva l’obiettivo di scardinare gli elementi religiosi, le associazioni cattoliche. Ad alto livello nel Pci c’era un vero e proprio progetto ideologico. C’è stata per esempio una capillare organizzazione per far riparare all’estero i responsabili dei delitti, in Jugoslavia o a Praga. La Resistenza da noi fu la preparazione per la consegna dell’Italia oltrecortina e la regolarità con cui avvenivano gli eventi faceva trapelare l’esistenza di un processo complessivo».
Insomma, per dirla con Paolo Mieli: «Il numero di preti fatti fuori in quegli anni è davvero incredibile. Don Pessina, don Galletti, don Donati e tanti altri: non c’entravano nulla con i fascisti, al massimo avevano benedetto qualche salma di fascista ucciso, forse aiutavano la Dc a raccogliere voti… La verità è che furono uccisi da comunisti e che nessun assassino fu denunciato dal Pci». Pci che, invece, cercò in ogni modo di far cadere un velo su quegli eccidi. «Una mano assolutoria definitiva agli assassini del “triangolo” - conclude Caprara nel suo articolo - venne data dal segretario generale del partito, Togliatti. Lo strumento usato fu quello di un’amnistia generalizzata che finì con il comprendere anche responsabili di delitti della Repubblica di Salò. Essa fu promulgata nel giugno 1946 e venne elaborata con il chiaro intento di seppellire un periodo scomodo per la storia comunista del dopoguerra. Togliatti era allora, dal 21 giugno 1945, membro del governo italiano, guardasigilli e responsabile dell’ordine giudiziario che avrebbe dovuto colpire inesorabilmente le vendette operate dagli ambienti partigiani. Così non fu: avvenne anzi il contrario e… giustizia non è stata fatta».

E questo senza nominare le Foibe, le decine di processi sommari e tentati omicidi che seguirono il 25 aprile '45 (il mio stesso bisnonno fu costretto a scappare dalla sua casa perchè considerato fascista, quando lui era solo un dirigente di una ditta), e le falsità riguardo alla morte del Duce.
Anzi, riguardo a questo argomento, pubblico un altro post tra poco.

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