lunedì 1 giugno 2009

GRAZIE



Era il 2001, L'anno che passò alla storia per il dramma del World Trade Center e l'ascesa della nube minacciosa del terrorismo islamico. Ma, visto che oggi non è la data per commemorare la tragedia, voglio parlare un pò dell'estate di quell'anno.
Io ero un ragazzino delle medie timido e insicuro, autostima pari allo zero. Amici, allora come oggi, nè tanti nè pochi, ma il sottoscritto era molto restìo ai rapporti umani, una caratteristica che, seppure stintasi, permane nel mio carattere.

Quell'estate Zinedine Yazid Zidane, il giocatore che per me era IL calcio, lasciò la Juventus per andare al Real Madrid. La Juve ci intascò soldi, tanti soldi. In quell'occasione mi sentii un pò demoralizzato come tifoso, vedevo la cessione di Zizou come il principio della fine della Juventus, che ad essere sinceri già da un paio d'anni non vinceva nulla.
Quella stessa estate, però, Luciano Moggi, che il suo mestiere lo sapeva fare, aveva un'altra strategia: sacrificarne uno per fortificarne undici. Fu così che arrivarono sulla sponda bianconera del Po Thuram, Salas, Buffon e Pavel Nedved.

Voi non ci crederete, ma per me Nedved è stato molto di più che un -seppure ottimo- semplice calciatore. Per me Nedved è un'icona, un modello, era tutto ciò in cui io credevo e tutto ciò che volevo essere. Io volevo essere sua mimesi perlomeno in ciò che dimostrava sul rettangolo verde: caparbietà, forza, coraggio, forza di volontà, spirito di sacrifico. Era ciò che a me mancava. Col tempo imparai che Pavel era per me quello che Che Guevara, John Lennon o chissà chi erano per altri ragazzini.

Capii la grandezza dell'atleta e dell'uomo del centrocampista Ceko nell'anno 2003, quando il biondo di Cheb prese per mano la Juventus e la condusse fino alla nefasta finale di Manchester contro il Milan, passando attraverso vere e proprie imprese come furono le sfide con Barcellona e (soprattutto) Real Madrid. Dio, solo a scriverne mi vengono i brividi. Ho ancora negli occhi la rasoiata contro il Barça o l'irresistibilità della Juve tutta contro gli allora Galacticos.

Proprio il Goal contro il Real è quello che ricordo con maggiore partecipazione, la prima volta per cui il sottoscritto abbia pianto (in quel caso, di gioia) per le sorti della squadra di cui è tifoso. Ricordo la palla scodellata in avanti da Zambrotta nella sua metà campo, Nedved che parte dietro la linea di fuorigioco, corre per 35 metri portandosi dietro Salgado che non riesce a fermarlo. Giunto in prossimità dell'area, scocca un sinistro contro cui nulla puote Iker Casillas. 3 a 1. Il "Delle Alpi" stracolmo che esplode. E' Finale.

E' il 2009, precisamente il 10 marzo. Una serata fredda, di quelle che il freddo fa male alla pelle. C'è il ritorno degli ottavi di finale di Champion's League: La Juve deve ribaltare una sconfitta per 1-0. Quella sara capii la grandezza e al contempo la debolezza di Nedved, costratto a lasciare il campo tra le lacrime a causa di un infortunio, nonostante avesse tentato di rimanere nel terreno di gioco per aiutare la squadra, soffrendo, trattenendo il dolore. Ma il Nedved del 2009, più umano de quello indistruttibile di anni addietro, a differenza di altre volte non ce la fa.
Ebbi come l'impressione che quello fosse un cattivo presagio per i destini europei della Juventus, e infatti così fu. Certo, ci furono Iaquinta e Del Piero a tenere vive le speranze, ma senza Nedved (sarà un caso, non sarà un caso) i bianconeri hanno sempre fallito gli appuntamenti importanti.

E' sempre il 2009, stavolta il 30 maggio, l'ultima giornata di campionato, l'ultima di Pavel con la Juve, molto probabilmente l'ultima della carriera. Non posso fare altro che ringraziarlo per tutto ciò che sportivamente e -in un certo qual modo- umanamente ha dato a me e a tutti i tifosi della Juve.

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